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Riproduzione della tunica di Carlo il Calvo, Imperatore del Sacro Romano Impero (IX sec. d.C.)

Indice

Biografia di Carlo il Calvo

     La famiglia di Carlo il Calvo e la discendenza

     Carlo il Calvo e la linea di sangue di Goffredo di Buglione

     Analisi della figura di Carlo il Calvo

Rifacimento della tunica

Conclusioni

Fonti bibliografiche

     Siti internet

     Libri

     Manoscritti

 

Biografia di Carlo il Calvo

Carlo II Imperatore, detto il Calvo, nacque a Francoforte sul Meno il 13 giugno 833 dalle seconde nozze dell'imperatore Ludovico il Pio con Giuditta, figlia del conte Guelfo di Baviera. La sua nascita provocò una gravissima serie di eventi che portarono alla rapida disgregazione dell’impero che il nonno, Carlo Magno aveva faticosamente messo insieme. Figlio di secondo letto di Ludovico il Pio e di Giuditta di Baviera figlia di Guelfo di Baviera, Carlo ottenne alla nascita e dietro intervento della madre, parte dei territori dei fratelli. In vero l’eredità dell’Imperatore Ludovico il Pio era già stata stabilita nel 817 dividendo il territorio dell’Impero tra i tre figli avuti dalla prima moglie: Lotario I, Pipino e Ludovico il Germanico. La nascita di Carlo almeno in teoria e secondo la consuetudine dell’epoca in fatto di successione non obbligava di fatto il Pio ad assegnare una fetta dell’Impero anche all’ultimogenito, potendolo comodamente sistemare in un monastero come avevano fatto i suoi predecessori. L’intervento della regina però fu decisivo e Ludovico il Pio cambiò l’assegnazione dei feudi, provocando di fatto l’ira degli altri tre figli. Nel 817, grazie alla Divisio Imperii del padre, Lotario aveva acquisito la corona imperiale e quella d’Italia, corona in passato appartenuta ai Longobardi, prendendo possesso dell’Italia nel 822 e venendo incoronato imperatore da Papa Pasquale I nel 823 [1]. Per assegnare anche a Carlo una fetta di eredità, Ludovico tolse a Lotario parte dell'Alemannia (o Svevia), l'Alsazia, la Rezia e parte della Borgogna assegnandole con il titolo di duca. La reazione di Lotario fu pessima e gli costò la perdita del diritto di usare il titolo imperiale e nel 829 fu mandato in Italia, la cui corona era “vacante” e dove a governare vi era stato fino al 817 il solo figlio di Pipino d’Italia: Bernardo, che non avendo figli a succedergli era un facile ostacolo da eliminare, senza contare che era solo e come se non bastasse la sua legittimità fu messa in discussione [2]. Essendo la corona d’Italia in rapporto di vassallaggio rispetto all’Impero, a succedere a Carlo Magno vi fu proprio Ludovico il Pio e la situazione rimase per diverso tempo invariata e favorevole a Bernardo. Ludovico il Pio lo definisce in una missiva “dilectus filius noster” e sembra esserci stato un buon rapporto tra zio e nipote fino al 817, quando fu emesso il documento di successione del Divisio Imperii in cui l’Italia era lasciata in mano al nuovo imperatore (quindi almeno in teoria le cose non sarebbero dovute cambiare rispetto al periodo precedente), di Bernardo non veniva fatta alcuna menzione e fu allora che ebbero inizio i primi veri guai per l’integrità dell’impero stesso. Bernardo, temendo di perdere il potere, influenzato probabilmente da alcuni ecclesiastici e nobili che avevano tutti gli interessi a far si che l’Italia rimanesse “controllabile” nelle loro mani, progettò di ribellarsi e mandò le sue truppe al confine sulle Alpi [3], senza mai attaccare consapevole della sua inferiorità militare rispetto all’Imperatore. Questi però fu informato dal vescovo di Verona e dal conte di Brescia e si preparò alla difesa. Chiesto un incontro formale con lo zio per trattare la questione e mantenere il potere, Bernardo fu incarcerato e successivamente, nel 818 processato con i suoi fedeli seguaci e condannato a morte. Restava però pur sempre un famigliare e alla fine Ludovico mutò la pena in accecamento. Bernardo in quel modo non avrebbe mai potuto governare [4]. Il nipote morì dopo tre giorni per le ferite riportate [5] e non avendo discendenti la corona d’Italia fu annessa da Ludovico ai territori dell’Impero. Le vicende di questi anni, in cui ancora Carlo non è nato, sono confusi per certi aspetti. Secondo lo storico Christian Settipani, Bernardo non era affatto senza discendenza ed ebbe un figlio che divenne conte di Vermandois senza pretendere mai il trono italiano. Si tratta però della sola fonte che riporta una notizia del genere mentre la maggior parte insistono sull’eliminazione di Bernardo, come strumento politico per mettere di nuovo e definitivamente l’Italia tra i feudi dell’Impero, soggetta poi alla divisione dell’817. Inoltre tutti e tre i figli di primo letto di Ludovico avevano interesse a eliminare un potenziale nemico e aumentare invece il controllo dell’Impero sull’Italia, per cui cugino o no, Bernardo era un ostacolo da eliminare con le buone o con le cattive.

 

I tre figli di Ludovico il Pio erano già grandi quando nacque Carlo a compromettere la spartizione della loro eredità. La ribellione di Lotario, che ne era anche il padrino, ne comportò un allontanamento in Italia nel 829 fino al 831, quando si riunì ai fratelli e insieme tentarono di ribellarsi al padre ma fallirono. Tentata una nuova ribellione armata, con l’aiuto dell'arcivescovo di Reims, Ebbone, deposero il padre e si spartirono l’impero in tre, senza contare Carlo però, che all’epoca era ancora un infante [6]. I dissidi tra i tre fratelli scatenarono una nuova guerra e Pipino e Ludovico il Germanico si riaccostarono al padre, il deposto imperatore preferendo di fatto essere vassalli del padre che non del fratello e nel 833 Ludovico il Pio riprese il potere e il trono. Lotario, secondo il cronista Thegano, continuò nella sua ribellione, ma prima che l'anno fosse terminato fu catturato; si prostrò ai piedi del padre che lo perdonò, lasciandogli il titolo di re d'Italia e là in un certo senso lo “esiliò” con l’obbligo di difendere il Papa. Di fatto Lotario non era più co-imperatore. Nell'837, Ludovico il Pio, in una dieta ad Aquisgrana, ampliò, a discapito di Pipino I e Ludovico il Germanico, i territori che sarebbero stati assegnati al giovane Carlo, che a settembre divenuto maggiorenne, gli fu assegnato un territorio tra la Loira e la Senna, iniziando un riavvicinamento a Lotario che li condusse poi all'incontro di Worms dell'838, probabilmente per ridefinire i punti cruciali della successione. Proprio quell’anno Pipino II, figlio di Pipino d’Aquitania morì e ignorando deliberatamente l’erede, Ludovico il Pio lo diseredò facendo rientrare l’Aquitania tra i territori imperiali e non senza opposizioni da parte degli aquitani e dello stesso Pipino II, il quale dopo numerosi tentativi di ribellarsi e opporsi, anche quando Carlo era già adulto, fu sconfitto e costretto a farsi monaco nel 852.

 

Figura 1 – La ripartizione dell’Impero dopo il trattato di Verdun nel 843 e di Mersen nel 870. Fonte immagine: Muir's Historical Atlas (1911). Fonte Wikipedia

 

Carlo il Calvo essendo di parecchi anni minore dei fratellastri, da Lotario lo separavano ben 28 anni, doveva fare i conti anche con gli eredi e quindi i figli, per salvaguardare la propria eredità. La morte del padre Ludovico il Pio nel 840 e la salita al trono imperiale di Lotario I, provocarono gravi dissidi e nuove lotte tra i fratelli che di essere suoi vassalli non volevano saperne. Alla morte di Lotario nel 855 Ludovico pensò di subentrargli come imperatore, ma Carlo si oppose e dopo la morte del figlio di Lotario, Ludovico II, scese in Italia per reclamarne la corona. Il papa Giovanni VIII aveva in quel periodo bisogno di un difensore contro i Saraceni; e voleva il ritorno all'unità nell'Occidente cristiano per opera del Carolingio francese, che egli, così per la tradizionale politica del papato, come in considerazione delle sue qualità personali, preferì a quello tedesco. Carlo ebbe cosi le due corone, l'imperiale a Roma (25 dicembre 875) e la reale a Pavia (31 gennaio 876). Fallì invece nel tentativo di conquistare la Germania alla morte di Ludovico il Germanico, perché fu sconfitto ad Andernach nel 876. Nell'877, a richiesta di Giovanni VIII, Carlo discese una seconda volta in Italia, probabilmente per difendere il papato dalle nuove incursioni dei saraceni. Prima di partire dalla Francia, all'aristocrazia del suo regno aveva dovuto fare concessioni in materia di ereditarietà di feudi col capitolare di Quierzy, riuscendo però ad assicurare la successione al primogenito Ludovico il Balbo. Carlo era appena giunto nella valle padana, dove, a Vercelli, s'incontrò con Giovanni VIII, quando fu costretto a riprendere la via del ritorno: era infatti sceso in Italia e marciava contro di lui Carlomanno di Baviera, uno dei figli di Ludovico il Germanico: e in Francia era imminente una ribellione di capi dell'aristocrazia col favore del re tedesco. Tanta fatica per conquistare una posizione e il potere destinati in fin dei conti a non durare tanto e dopo un’estenuante serie di lotte e guerre con i fratellastri era riuscito a diventare padrone dei loro feudi e imperatore e mantenere il potere solo per due anni, durante i quali comunque le opposizioni non erano mai mancate. Lungo la via di ritorno, mentre si trovava nella Savoia, a Brides-les-Bains, Carlo si ammalò e morì il 6 ottobre 877. Principe franco migliore della sua fama, Carlo il Calvo fu intelligente e colto, e cercò d'impedire la rovina del potere monarchico e dell'Impero carolingio; ma le nuove forze in pieno svolgimento non potevano più essere arrestate. I suoi figli non gli succedettero dividendosi nuovamente l’impero come era accaduto in passato per i figli degli imperatori germanici e il territorio dell’Impero di disgregò ancor di più.

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La famiglia di Carlo il Calvo e la discendenza

Carlo il Calvo aveva sposato Ermentrude d'Orléans, figlia del conte d'Orleans, Oddone I [7] nel 842 [8] il 13 dicembre; la sposa era più vecchia di lui di tre anni e gli diede ben nove figli in quindici anni, prima di separarsi (senza ripudio pare) ed essere mandata in convento dove morì nel 869 a 44 anni.

 

Figura 2 – Discendenti di Carlo Magno fino a Carlo il Calvo (5 generazioni)

 

Non si conoscono di preciso le ragioni di questa separazione, ma è facile ipotizzare che non fosse proprio per ragioni di politica di Carlo, piuttosto di un suo capriccio personale. Carlo infatti all’epoca avrebbe già avuto una concubina, una certa Richilde delle Ardenne o Richilde di Provenza [9] che divenne ufficialmente la seconda moglie di Carlo e quindi regina al suo fianco dal 870 alla morte di Carlo. Secondo gli Annales Bertiniani raccontano che ai funerali della regina Ermentrude vi fosse nientemeno che il fratello di Richilde, Bosone I di Provenza il quale avrebbe scritto alla madre per far entrare in scena la sorella. Più attiva politicamente di Ermentrude, Richilde governò il regno in assenza del marito e anche dopo la morte di Carlo non se ne stette con le mani in mano: fu protagonista infatti delle lotte intestine al regno, all’impero e alla Provenza. Come Carlo, anche Richilde aveva dovuto fare i conti con i nipoti del marito e per i suoi nemici non fu facile schiodarla dal trono [10]. Alla morte del marito, Richilde si trovava al governo e appoggiò la ribellione dei nobili del regno che rifiutavano di prestare giuramento di fedeltà all'erede al trono, al figlio di Carlo ed Ermentrude, Luigi il Balbo [11]. Con l'intermediazione del vescovo di Reims, Incmaro, Luigi il Balbo riuscì a raggiungere un compromesso con la nobiltà e a riconciliarsi con Richilde che gli consegnò le insegne reali e l'atto in cui Carlo il Calvo prima di morire aveva nominato Luigi suo erede. Alla morte del figliastro nell’879 Richilde riprese il potere approfittando della tenera età dei figli di Luigi e cercando di prevenire la rivale, Ansgarda [12] (che comunque riuscì alla fine nel suo intento e i figli salirono al trono, ma morirono giovani e senza eredi). Richilde cercò di portare sul trono il fratello Bosone, senza però riuscirvi poiché i nobili si opposero, l'accusarono d'incesto col fratello e rifiutarono la sua autorità. Allora Richilde aiutò Bosone a sottrarre (ed a diventarne re) la Provenza ai nipoti del marito, riuscendovi. Alla morte dei due figli di Ansgarda, Richilde tornò al potere una terza volta, ma i grandi del regno, dato lo stato di confusione e la costante minaccia dei Normanni, nominarono re di Francia e d'Aquitania Carlo il Grosso e la costrinsero a ritirarsi in Provenza, presso il fratello, dove morì tra il 910 ed il 914. Esattamente un secolo dopo la morte di Carlo Magno. Meno di un secolo era occorso per sfaldare per sempre il sogno di un Occidente unito sotto un’unica corona e un’unica fede. Richilde aveva dato a Carlo cinque figli, due dei quali gemelli che morirono in tenera età e si ricorda una figlia, Rotilde che sposò il figlio di Ugo il Grande, ma rimasta vedova si ritirò in convento dove divenne badessa e dopo che le fu tolta l’abbazia non si hanno più notizie di lei. I tentativi di Richilde di imporre una propria discendenza fallirono miseramente, ammesso che abbia mai avuto simili piani e ai suoi figli sopravvissero quelli della primogenita di Carlo il Calvo e di Ermentrude: Giuditta, dalla quale discende nientemeno che Goffredo di Buglione quasi dopo due secoli di storia.

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Carlo il Calvo e la linea di sangue di Goffredo di Buglione

 
Figura 3 – Discendenza di Carlo il Calvo fino a Goffredo di Buglione († 1099)


Giuditta, primogenita di Carlo il Calvo, sposò in prime nozze, a soli dodici anni, il Re Ethelwulf del Wessex, già due volte vedovo e sessantenne. Ethelwulf del Wessex faceva ritorno da un pellegrinaggio a Roma e si era fermato presso la corte del re franco nel 856, anno in cui avvenne fidanzamento e matrimonio di Giuditta (in inglese Judith of Flanders). Giuditta era di parecchio più giovane dei figliastri: Ethelwulf dalla precedente moglie aveva avuto tre figli maschi, tra cui Alfredo il Grande, il figlio minore del re che all’epoca era ancora bambino [13]. Una cosi giovane e probabilmente anche bella matrigna, che per altro godette di un diritto sino ad allora negato alle regine, menzionate solo come mogli del re e non come regine con del potere reale, rappresentava una minaccia per i figli, sebbene l’età del padre non faceva presupporre che potesse ancora generare [14] e di fatti dall’unione non nacquero figli. Ethelwulf morì due anni dopo e salì al trono Ethelbald che aveva tredici anni più della giovane matrigna e non avendo altri legami che lo frenassero, decise di sposarla, ma anche da questa unione non nacque alcun figlio senza contare che per la Chiesa era incesto e il matrimonio fu ritenuto invalido. Ethelbald morì due anni dopo e sul trono salì non Giuditta, ma il secondo fratello Ethelbert [15]. In seguito alla morte del secondo marito, secondo gli Annales Bertiniani e gli Hincmari Remensis Annales, Giuditta, nell'861, vendette tutte le sue proprietà nel Wessex (ricevute probabilmente come controdote dal marito) e ritornò in Francia rifugiandosi in monastero su suggerimento – o dovremmo dire costrizione – del padre, in attesa di trovare un nuovo partito per lei. Presumibilmente Carlo il Calvo intendeva combinare un nuovo matrimonio per la figlia; in ogni caso, attorno al Natale 861, Giuditta fuggì assieme a Baldovino, futuro conte delle Fiandre, probabilmente dopo essersi sposati nel monastero di Senlis. Il racconto dell'avvenimento negli annali dipinge Giuditta non come la vittima passiva di un rapimento, bensì come parte attiva del fatto, fuggita dietro istigazione di Baldovino e apparentemente con il consenso del fratello Luigi il Balbo. L’ira del re padre si scagliò contro la coppia che rifugiò presso Lotario II e da qui chiesero al Papa di perorare la loro causa, cosa che avvenne e resosi conto di dover cedere, Carlo acconsentì e tornata in Francia la coppia di amanti si sposò pubblicamente e ufficialmente. La Historia Remensis Ecclesiae conferma questa storia e pare che Carlo avesse dato al genero un territorio di confine, le Fiandre appunto, per difendere il territorio interno dalle invasioni dei Vichinghi, mossa che però gli costò il giudizio negativo degli storici, essendo tale mossa sospetta di nascondere il desiderio che il genero morisse nelle battaglie contro gli invasori. Baldovino seppe invece reprimere la minaccia vichinga ed espanse rapidamente tanto il suo esercito quanto i suoi territori, divenendo un fedele sostenitore di Carlo il Calvo; la marca di Baldovino divenne ben presto nota come Contea delle Fiandre e sarebbe divenuta una dei principati più potenti di tutta la Francia. Forse a malincuore Carlo dovette ricredersi su quel genero indesiderato, ma potente. Da Baldovino Giuditta ebbe cinque figli, il cui secondogenito Baldovino II successe al padre nella contea di Fiandra. Da lui discende il ramo, per linea di sangue maschile, Goffredo di Buglione, primo Re di Gerusalemme a cui succederà il fratello Baldovino che manderà avanti il Regno e la dinastia a partire dall’Anno di Grazia 1100.

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Analisi della figura di Carlo il Calvo

La vita di Carlo il Calvo la si conosce più che altro attraverso i fatti di cui fu vittima e protagonista al tempo stesso. La sua nascita fu un vero fulmine a ciel sereno nell’integrità territoriale e governativa dell’Impero e le lotte intestine per i domini, compiute dai fratellastri e non solo, anche dai loro discendenti, diedero il via ad una serie di eventi da cui avranno origine le monarchie del Medioevo. Nella vita di Carlo e in quella dei suoi antenati la presenta ed il ruolo delle donne è stato fondamentale sia dal punto di vista della vita privata sia dal punto di vista della loro influenza sugli uomini che governavano al momento, come era accaduto durante il regno dei Merovingi, anche nel periodo in cui visse Carlo, le donne si fecero tra loro quasi la guerra, spingendo da una parte o dall’altra per arrivare al potere, più per loro stesse che per preparare un terreno fertile ai figli. Questo fa presumere che le donne al tempo di Carlo erano tutt’altro che succubi e fragili, specie nei piani più alti del potere. Carlo lo conosciamo indirettamente attraverso la vita dei fratelli prima, del padre e poi dei figli. Non lo si può conoscere da vicino come suo nonno, ed Eginardo era morto quando Carlo venne al mondo, per dirci di più sulle imprese del nipote di Carlomagno. Carlo il Calvo dovette essere per il suo tempo anche un personaggio interessato alle arti e ai libri non meno di suo nonno e numerosi sono i manoscritti a lui attribuiti, in alcuni dei quali è possibile scorgerne un ritratto.

 

Va precisato che i ritratti di questi personaggi erano idealistici e non realistici per cui la persona fisicamente poteva essere anche diversa dal ritratto che ne fanno i contemporanei. I manoscritti attribuiti a Carlo il Calvo sono per lo più testi sacri, ma non mancano anche testi di letteratura profana e classica, custoditi in parte in Francia e in parte in Germania e si riportano di seguito quelli più belli, miniati:

 

  • Évangiles de Saint-Denis che gli esperti hanno faticato a datare per via dello stile delle decorazioni e l’assenza di ritratti degli Evangelisti che collocherebbero il manoscritto alla fine del VIII secolo, quando ancora Carlo non era nato per cui potrebbe essere stato fatto realizzare da Carlomagno o da qualcuno molto vicino a lui. Il manoscritto pare essere stato donato all’Abbazia di Saint-Denis durante il regno di Carlo il Calvo, dall’Imperatore nel 864, ma non ci sono fonti sicure al riguardo e la presenza del manoscritto lì è attestata al XIII secolo, durante il quale furono apportate delle modifiche al testo. Oggi è custodito dalla Bibliothèque nationale de France, Latin 9387.
  • Opuscula medicalia datato invece tra l’830 e l’870 e si tratterebbe di un testo di medicina e secondo gli esperti il manoscritto sarebbe stato prodotto ad Echternach in parte e continuato per volere di Carlo il Calvo presso lo scriptorium dell’Abbazia di Saint-Denis e anche lo stile interno fa presumere che le mani che hanno lavorato al testo siano di due persone diverse. Anche questo manoscritto è custodito dalla Bibliothèque nationale de France, Latin 11219.
  • Bible de Vivien detta anche La prima Bibbia di Carlo il Calvo, uno tra i più bei esemplari di miniatura carolingia del IX secolo. Fu realizzata dallo scriptorium di Saint Medard e fu donata a Carlo il Calvo. Il manoscritto deve il suo nome al conte Vivien o Vivian, abate di Tour dal 844 al 851 che lo fece realizzare. Il codice è in materiale pergamenaceo e il testo è scritto con minuscole e capitali rustiche e contiene ben 8 miniature a piena pagina. Il codice, ricchissimo di illustrazioni, si conclude con la miniatura che raffigura l’atto della dedica: Vivian e i monaci Amandus, Sigwaldus e Aregarius che la donano all’Imperatore. Carlo la donò successivamente all’Abbazia di Metz dove rimase fino al 1675 quando divenne proprietà del ministro delle finanze di Luigi XIV e da qui fu dato alla biblioteca reale. Il manoscritto è custodito dalla Bibliothèque nationale de France, Latin 1 [16].

 

Figura 4 – Donazione del manoscritto all’Imperatore. Bible de Vivien, Bibliothèque nationale de France, Latin 1, folio 423r [17]. Si notino i costumi indossati dalle figure della scena, in alcuni mantelli si vede chiaramente la rappresentazione stilizzata del trifoglio, usato anche nella riproduzione della tunica dell’Imperatore.

 

  • La seconde Bible de Charles le Chauve, realizzata da Hucbald de Saint-Amand negli anni ’70 del IX secolo è caratterizzata da particolari decorazioni colorate, ma nessun ritratto ed è ospitata anch’essa come le altre citate dalla Bibliothèque nationale de France, Latin 2.
  • Psalterium Caroli Calvi prodotta dallo scriptorium reale di Carlo il Calvo tra l’842 e l’869 e quindi sarebbe precedente alla Seconda Bibbia, e realizzato contemporaneamente a quella di Vivien. Sarebbe stato realizzato da Liutardo, capo del laboratorio della scuola del Palazzo intorno agli anni 869-870. Nell'870, lui e suo fratello, Berengario (Béranger), avrebbero firmato anche la copia del Codex Aureus di St. Emmeram di Ratisbona (Monaco di Baviera, BSB, Clm 14000). Il manoscritto è realizzato in materiale pergamenaceo e scritto con caratteri carolini e unciali rustici. La copertina è uno splendido esempio dell’arte carolingia, con copertina in legno intagliato e pietre incastonate, sul davanti il quadretto centrale in avorio riporta una scena sulla vita di Re Davide fanciullo, come era stato profetizzato da Nathan. In questo manoscritto vi sono anche delle ricchissime miniature, decorate con oro e in una vi è il ritratto di Carlo il Calvo. Il Psalterium Psalterium Caroli Calvi è oggi custodito presso la Bibliothèque nationale de France, Latin 1152.

Figura 5 – L’imperatore Carlo il Calvo con i simboli della regalità e del potere. Psalterium Caroli Calvi, Bibliothèque nationale de France, Latin 1152, folio 3v [18].


  • Sacramentarium [Sacramentaire de Charles le Chauve] datato sempre tra 869 e 870 è un libro che contiene pochissime pagine, ma miniature stupende e caratteristica è la miniatura interna, la prima in cui vi è rappresentata una incoronazione di un principe, forse Carlo il Calvo, da parte di Dio (la mano che scende dalla nuvola). Il manoscritto è custodito presso la Bibliothèque nationale de France, Latin 1141.

 

Figura 6 – Prima miniatura dell’Incoronazione. In verità non si conosce l’esatta identità della figura centrale che potrebbe essere anche quella di Davide. Sacramentarium [Sacramentaire de Charles le Chauve], Bibliothèque nationale de France, Latin 1141, folio 2v [19].

 

  • Évangiles de Noailles realizzato negli anni cinquanta del IX secolo presso la scuola di palazzo di Carlo il Calvo, è una raccolta di Vangeli, scritti su materiale pergamenaceo in minuscola carolina e caratteri rustici, con iniziali decorate e alcune miniature in oro. Il testo non contiene ritratti, se non una rappresentazione di Cristo nelle prime pagine. Il manoscritto è custodito presso la Bibliothèque nationale de France, Latin 323.
  • Sacramentarium Sancti Dionysii realizzato nella seconda metà del IX secolo, presso l’abbazia di Saint-Amand-en-Pévèle. È scritto su materiale pergamenaceo in minuscola carolina e caratteri rustici mentre alcune pagine sono riccamente decorate per intero e altre hanno le iniziali decorate. Il manoscritto è custodito presso la Bibliothèque nationale de France, Latin 2290.
  • Due vangeli, uno dei quali magnificamente decorato come il Psalterium Caroli Calvi e sembra essere appartenuto a Carlo il Calvo. Questo manoscritto ha la copertina in legno, decorato con pietre preziose e oro, mentre il centro è in avorio raffigurante la scena della crocifissione. Il manoscritto è custodito presso la Bibliothèque nationale de France, Latin 9453.
  • Codex Aureus von St. Emmeram, forse il più bello e prestigioso manoscritto tra quelli realizzati in epoca carolingia e quello che reca la miniatura con il ritratto dell’imperatore (folio 14 [20]) , a cui ci si è ispirati per la riproduzione della tunica. Il manoscritto proviene da Saint Denis e il miniatore è probabilmente quel Liutardo della Bibbia di Vivien, realizzata insieme al fratello Berengario e pare essere stata realizzato proprio su commissione di Carlo. Il testo è in materiale pergamenaceo e contiene 7 miniature a piena pagina, 12 tavole canoniche ed altrettante ornamentali [21]. Arnolfo di Carinzia, Re di Baviera [22] lo donò alla fine del IX secolo, 893, all’Abbazia di St. Emmeram (da cui il nome del manoscritto). Dopo vari passaggi, il manoscritto è oggi custodito dalla Bayerische Staatsbibliothek di Monaco di Baviera come BSB Clm 14000 [23].

Figura 7 – Miniatura con il ritratto di Carlo il Calvo, Imperatore del Sacro Romano Impero, assiso in trono nella miniatura del folio 14 del Codex Aureus von St. Emmeram, Bayerische Staatsbibliothek ® Clm 14000 [24]


  • Bibbia di San Paolo (detta anche di San Paolo fuori le mura) è un’altra bibbia carolina commissionata da Carlo il Calvo tra la fine della prima metà e la seconda metà del IX secolo, è quasi sconosciuta al pubblico e custodita oggi presso l’omonima chiesa, a Roma. Contiene alcune miniature a pagina intera, una delle quali contiene un ritratto dell’Imperatore quasi identico a quello contenuto nel Codex Aureus (BSB Clm 14000) e riflette lo stile tardo carolingio. Secondo gli esperti, il manoscritto fu realizzato in occasione del matrimonio tra Richilde e Carlo il Calvo, nel 870 [25].

 

L’analisi delle miniature rappresentanti l’imperatore confermano la natura idealistica e non realistica dei ritratti, tanto più che somigliano moltissimo al ritratto che Eginardo aveva fatto di Carlo Magno:


“Era di taglia grossa e robusta, di statura alta ma non eccezionale, giacché misurava sette piedi d’altezza. Aveva la testa rotonda, gli occhi molto grandi e vivaci, il naso appena più grosso del normale, i capelli bianchi ma ancora belli, l’espressione allegra e ridente; il collo corto e grasso e il ventre un po’ sporgente; la voce chiara, ma un po’ troppo sottile per la sua stazza.[…] ”[26]

 

Secondo lo storico Alessandro Barbero, nel testo dedicato a Carlo Magno, il ritratto fisico offerto da Eginardo trova conferma nelle raffigurazioni coeve [27] dell’imperatore. L’effigie impressa sulle sue monete è quella d’un uomo corpulento, dal collo grasso e i baffi spioventi, coi capelli tagliati corti sulle orecchie, e il capo coronato d’alloro al modo degli imperatori romani. Lo stesso tipo si ritrova in una statuetta equestre di bronzo dorato, alta circa una ventina di centimetri, conservata al Louvre; il soggetto è certamente un sovrano carolingio, che la tradizione identifica con Carlo Magno, anche se molti indizi fanno pensare che l’opera sia più tarda. La statuetta raffigura un uomo robusto, dalla testa rotonda, il viso paffuto, i capelli corti e grossi baffi, con la corona in testa, decisamente somigliante al Carlo Magno descritto da Eginardo; sicché l’ipotesi più verosimile è che si tratti d’un ritratto dell’imperatore commissionato da uno dei suoi successori, probabilmente il nipote Carlo il Calvo [28]. Sia nel Codex Aureus (BSB Clm 14000), nella Bibbia di S. Paolo e nel Psalterium il ritratto dell’imperatore Carlo il Calvo è fedele alle descrizioni di Eginardo e alle altre opere contemporanee di Carlo Magno, per cui non si può non supporre che vi sia una certa somiglianza che in realtà corrisponde ad un ritratto più ideale che reale sia dell’Imperatore Carlo Magno sia del nipote Carlo il Calvo, il quale non viene per altro mai rappresentato come un uomo calvo appunto, come voleva il soprannome [29]. Anche gli abiti raffigurati nei manoscritti e rappresentati nelle opere sembrano fedeli sia alla descrizione fatta da Eginardo della moda franca e carolingia e anche qui notiamo una certa somiglianza. Carlo, prima ancora di vestirsi, andava ad assistere all’ufficio mattutino, avvolto in un mantello lungo fino ai piedi, «di cui oggi», scrive Notker un secolo dopo, «s’è perduto non solo l’uso, ma perfino il nome»; sotto infilava soltanto la camicia e le mutande di lino, che peraltro non erano una raffinatezza regale o nobiliare, ma erano usate da tutti [30]. Terminato il servizio, l’imperatore tornava nella camera, dove il fuoco ardeva nel camino, e lì si vestiva, più o meno lussuosamente a seconda delle circostanze. Sopra la biancheria indossava una tunica lunga fino al ginocchio e stretta in vita da una cintura. Era l’abito comune a tutti i Franchi, e solo il pregio delle stoffe e la presenza di galloni distinguevano il re e i nobili dai contadini, oltre naturalmente al colore: gli abiti dei poveri infatti erano di lana non tinta, e dunque grigi o bruni, mentre i ricchi vestivano stoffe dai colori vivaci, soprattutto rosso e viola. Sotto la tunica Carlo infilava le brache, che erano d’uso corrente ma non universale, giacché si andava anche a gambe nude. Sempre presenti erano invece le calze, che dovevano avere una suola di cuoio, perché si portavano molto spesso senza altre calzature; per fermarle si giravano fasce di stoffa intorno ai piedi e alle gambe. Quando faceva freddo, il re si avvolgeva nella solita cappa, lunga fino ai piedi; durante la sua vita, osserva Notker, la moda tendeva ad accorciarla, ma Carlo ne scoraggiò il commercio. Oltre alla cappa, che preferiva blu, portava se necessario un comune pellicciotto, di lontra, di ratto o d’agnello. Parte integrante dell’abbigliamento quotidiano, infine, erano la spada alla cintura e una mazza nodosa di legno di melo, col pomo d’oro o d’argento [31]. Il ritratto corrisponde quasi in tutto e per tutto anche alla raffigurazione di Carlo il Calvo che nel Codex Aureus (BSB Clm 14000) indossa una tunica lunga (di parecchio sotto al ginocchio e non corta come avveniva in precedenza, anche se le altre figure maschili intorno all’imperatore vestono tuniche corte) bordata con un gallone di pietre preziose mentre il mantello è lungo fino ai piedi, di color oro, anch’esso bordato come la tunica ed è portato alla maniera bizantina, aperto cioè da un lato. Le calze, probabilmente suolate son strette da lacci che si incrociano lungo il polpaccio e da qui si presume che a grandi linee la moda carolingia non era cambiata in mezzo secolo, anche se alcuni soldati vengono talvolta rappresentati già con scarpe chiuse e piccoli stivali. Persino la capigliatura, corta e sopra le orecchie e il mento sbarbato rappresentati nei manoscritti trovano ancora una volta conferma nella descrizione degli storici dell’epoca.

 

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Rifacimento della tunica

Il rifacimento della tunica ha richiesto un preventivo intervento di restauro sul tessuto di doppione di seta azzurra, il cui logorio è dovuto all’età ed allo stato di conservazione del tessuto stesso [32], tramite cuciture di rammendo con filo ricavato dai ritagli di tessuto e l’applicazione di rinforzo termoadesivo leggero interno. La realizzazione del ricamo ha richiesto invece un’attenta analisi dell’immagine dell’Imperatore Carlo il Calvo così come è stato rappresentato nella miniatura del Codex Aureus (BSB Clm 14000, folio 14) della Bayerische Staatsbibliothek ® (BSB) di Monaco di Baviera.

 

Figura 8 – Carlo il Calvo assiso in trono. Miniatura tratta dal Codex Aureus von St. Emmeram, folio 14. Bayerische Staatsbibliothek ®, BSB Clm 14000 [33]

Tale analisi, effettuata con software di grafica ha permesso di rendere più nitida l’immagine della decorazione del tessuto.

 

 

Figura 9 – Macro del doppione di seta, si nota la trama del tessuto e la lieve escrescenza dovuta ad un ispessimento del filo di seta che durante la tessitura crea la caratteristica rigatura. Il lato opaco del doppione è il dritto mentre il rovescio è liscio e integro come un raso.

 

La tunica è stata disegnata direttamente su tessuto e poi tagliata, rifinita con punti stretti e alti 5 mm per impedire che sfilacciasse e assemblata a macchina, mentre gli orli dello scollo, delle maniche e del bordo gonna sono stati realizzati a mano con sottopunto.

 

Figura 10 – Rinforzo interno fissato a mano.


Figura 11 – Dettaglio del sottopunto o punto invisibile eseguito grazie anche all’ausilio di una lente di ingrandimento.

 

L’ornamento della tunica rappresentato sul manoscritto è dato da elementi geometrici regolari di forma sferica o ellittica di colore bianco (argento) con bordure di colore più scuro e alcuni di questi elementi presentano a tratti degli aloni giallognoli, che si suppone siano traccia di un leggero deterioramento del pigmento utilizzato per riempire il disegno, ma anche una macchia dovuta alla sovrapposizione di pagine miniate non completamente asciutte (infatti la pagina successiva presenta una miniatura che contiene a sua volta oro). Significativo è l’uso di gruppi di tre elementi per ogni decorazione, un simbolismo forse riferito alla SS. Trinità. Si è supposto anche che potesse trattarsi di una rappresentazione diversa, magari un motivo floreale, scolorito nel tempo, simile ad un manoscritto contemporaneo in cui vi è simile rappresentazione della tunica dell’imperatore: il Psalterium Caroli Calvi custodito dalla Bibliothèque nationale de France. In tale manoscritto il disegno è più evidente e mostra un fiore stilizzato. Anche nel caso della tunica rappresentata nel Codex Aureus (BSB Clm 14000, folio 14) potrebbe dunque trattarsi di un elemento floreale stilizzato, molto probabilmente un trifoglio, utilizzato in epoca altomedievale da S. Patrizio per diffondere la dottrina della SS. Trinità che dunque il trifoglio rappresenterebbe.

 

Figura 12 – A sinistra un ritaglio della miniatura per ingrandire la trama della tunica cosi come rappresentata nella miniatura del folio 14 del Codex Aureus, Bayerische Staatsbibliothek ® (BSB Clm 14000). A destra il Trifolium pratense, simbolo della Trinità. Questo tipo di riproduzione si trova come ornamento anche nelle vesti rappresentate in altri manoscritti coevi e successivi fino al XI secolo.

 

I ricami sul manoscritto sono stati rappresentati con disposizione a scacchiera o alternati per ogni riga. La disposizione del disegno sul manoscritto è stata trasferita sul tessuto, dividendo lo spazio in sezioni a partire dalla spalla fino ai piedi, tolti i cm degli orli del fondo. La suddivisione è poi stata ripetuta in senso orizzontale, ponendo però una maggiore distanza. Tale suddivisione è stata fatta considerando metà della tunica, incluse le maniche, al fine di garantire il più possibile una certa simmetria sia davanti sia dietro, in modo tale da ottenere, a lavoro finito, l’effetto di un abito imperiale ricavato da un unico taglio. Nel manoscritto l’orientamento degli elementi stilizzati sembra non seguire un certo ordine: in alcuni punti gli elementi sono disposti specularmente in senso orizzontale e verticale, ma non sono disposti tutti con lo stesso medesimo orientamento, pertanto si è deciso di rappresentarli con un orientamento in senso orario, ruotando di volta in volta di 90° e ottenendo così lo stesso orientamento di una figura, ogni tre. Facendo questo tipo di operazione solo su ogni metà, si ottiene anche un’armoniosa simmetria del disegno, oltre a rispettare una certa distanza tra un elemento e l’altro, fedelmente alla miniatura del manoscritto.

 

Figura 13 – Schema della tunica realizzata a computer, grazie a MS Visio.

 

Il disegno una volta stampato è stato riportato su carta velina, preparato per spolvero e poi la sinopia è stata riprodotta su tutto il tessuto. I disegni sono poi stati rimarcati e contornati con impuntura e alla fine ricamati.

 

Figura 14 – La sinopia del trifoglio realizzata prima con lo spolvero e poi con impuntura


Figura 15 – Il ricamo del trifoglio, realizzato interamente a mano.


Figura 16 – Immagine del filato argento ed oro, durante l’esecuzione dei lavori


Il filo d’oro e quello d’argento lurex sono stati utilizzati doppi, a causa della loro sottigliezza, e l’oro è stato applicato per realizzare il contorno, mentre il riempimento, concentrico è realizzato in argento. Il ricamo è stato eseguito a punto catenella.

 

  

Figura 17 – Altri esempi di ricami


 

Figura 18 – Parte alta della tunica, primi ricami


Figura 19 – Tunica di Carlo il Calvo quasi ultimata. Sul parte posteriore della tunica i ricami non sono stati fatti.


Figura 20 – La tunica finita appoggiata su un piano, aperta, per mostrare il ricamo e la simmetrie della disposizione spaziale degli elementi tra le due metà.


Figura 21 – La tunica indossata sul manichino.


  

Figura 22 – Profilo del costume indossato sul manichino

 

Non è stato realizzato il gallone con pietre preziose, che sarebbero state sintetiche in questo caso, essendo una riproduzione; ma non è da escludere che ciò sia fatto in un secondo tempo, come il mantello. La tunica è stata realizzata lunga quasi fino ai piedi, poiché nel manoscritto, forse anche per via della posizione da seduto, la tunica appare più lunga rispetto ai canoni della moda franco-carolingia, come del resto il mantello.

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Conclusioni

Questo costume è stato realizzato al fine di essere una semplice riproduzione di un costume di un personaggio storicamente esistito, Carlo il Calvo, ma a causa del precario stato di conservazione del tessuto e alla delicatezza del lavoro necessario per realizzarla, non parteciperà mai a sfilate di rievocazioni storiche, onde evitarne l’irrimediabile compromissione e la rovina.

 

Fonti bibliografiche

Siti internet

Libri

  • Barbero, Alessandro. Carlo Magno. Un padre d'Europa. Laterza, 2002.
  • Norbert, Wolf. Capolavori della miniatura. I codici miniati più belli del mondo dal 400 al 1600. Taschen, 2007.

Manoscritti

Note

[1] Essendo ancora in vita il padre, Lotario svolgeva le funzioni di co-imperatore ed essendo il primogenito gli era stata assegnata con la dignità imperiale, una certa superiorità nella successione rispetto ai fratelli.

[2] Secondo la Vita Hludowici Imperatoris era figlio di Pipino d’Italia e di una sua concubina. Carlo Magno sembra però avergli riconosciuto il diritto alla successione, ma fino a 15 anni fu mandato presso un monastero e si poté insediare sul trono italiano solo nel 812. Pipino era morto due anni prima e senza alcun aiuto forte, Bernardo era una facile preda dei nemici e di chiunque volesse impossessarsi del trono.

[3] Monumenta Germaniae Historica, tomus II: Thegani Vita Hludovici Imperatoris, pag. 596, par. 22

[4] La tecnica di accecare un rivale, specie nelle famiglie regnanti, era una prassi in uso già dall’Antichità e non più in là di un secolo prima l’Imperatrice bizantina Irene aveva fatto la stessa cosa con il proprio figlio per salire al trono.

[5] È sepolto a Milano nella Basilica di Sant'Ambrogio

[6] Questa esclusione fa presumere che la loro intenzione circa il fratellastro ancora bambino era probabilmente quella di eliminarlo o fisicamente o semplicemente chiuderlo in monastero. Non abbiamo troppe fonti al riguardo l’infanzia di Carlo il Calvo.

[7] Secondo gli Annales Fuldenses Oddone che era missus dominicus dell'imperatore, Carlomagno, preso i Sassoni, nell'810, fu fatto prigioniero, sull'Elba, da Wilzi. Le fonti su di lui non sono troppo sicure né concordanti. Secondo gli Einhardi Annales, Oddone fu tra i conti Franchi che, nell'811, parteciparono alle trattative di pace tra l'imperatore ed il re dei Vikinghi, il danese, Henningum mentre secondo la Vita Hludowici Imperatoris divenne conte d'Orleans solo nell'821, alla morte del padre, ma nell'827, non era più conte d'Orleans, infatti, in quell'anno, Matfrid I, era il conte d'Orleans che, assieme a Ugo conte di Tours, fu inviato ad unirsi al re d'Aquitania, Pipino I, per portare aiuto alla città di Barcellona assediata dai Mori. Oddone fu tra i sostenitori di Ludovico il Pio, nelle dispute con i suoi tre figli maggiori, ma sua fedeltà non fu generosamente ricompensata, almeno da Ludovico. Più di un Annale riporta la precarietà del feudo di Orleans che Oddone avrebbe perso più volte: gli gli Annales Bertiniani, Annales Fuldenses e Annales Xantenses riportano che Oddone perse il feudo, assegnato a Matfrid I. Oddone aveva dunque ogni interesse a imparentarsi con il figlio dell’Imperatore. Morì nel 834, durante una delle ultime battaglie di ribellione tra i figli di Ludovico il Pio e il padre.

[8] Annales Bertiniani, nel Carisiacum palatium di Quierzy.

[9] Figlia del conte dell’Ardenne, Bivin de Gorze, e della moglie che era la figlia di Bosone di Arles. Era inoltre la sorella di Bosone I di Provenza, parente inoltre di Teutberga (o Teoberga, figlia del conte di Valois Bosone il Vecchio, capostipite della dinastia Bosonide, e legittima moglie del re di Lotaringia, Lotario II).

[10] Nell'877, Richilde seguì il marito nella campagna d'Italia, assieme ad un drappello di nobili cavalieri; la maggior parte della nobiltà, tra cui suo fratello Bosone, con l'esercito, avrebbero raggiunto l'imperatore, in un secondo tempo. Dato che l'esercito non arrivava, Carlo, a Tortona, decise di accelerare i tempi e forse per uno scrupolo politico fece incoronare imperatrice Richilde dal papa Giovanni VIII e poi la inviò in Gallia a sollecitare la partenza dell'esercito, che però non partì mai.

[11] Fu secondogenito di Carlo il Calvo e della regina Ermentrude e primo figlio maschio dei nove avuti dalla coppia. Noto anche come Luigi II di Francia, Luigi il Balbo succedette al padre come Re dei Franchi occidentali, Re d’Aquitania, Re di Lotaringia e di Provenza (fino al 879, quando il fratello della matrigna ne divenne il re).

[12] Secondo gli Annales Bertiniani, nel marzo dell'862, all'età di circa 36 anni, Ansgarda di Borgogna sposò segretamente l'erede al trono di Francia, che di anni ne aveva 16, il principe Luigi il Balbo, contro il volere del re Carlo il Calvo il quale si adoperò affinché il matrimonio fosse annullato, ma non ci riuscì. Alla fine Luigi il Balbo, nell'875, per volere del padre ma con la disapprovazione di papa Giovanni VIII divorziò da Ansgarda, che venne ripudiata e allontanata da corte e nello stesso anno (febbraio 875) e Carlo riuscì a fargli sposare la sua prescelta, Adelaide del Friuli, che però, a Troyes, il 7 settembre 878, papa Giovanni VIII rifiutò di incoronarla regina. Quando nell'879, Luigi il Balbo morì, mentre stava preparando una spedizione contro il conte di Poitiers Ranulfo II e quello del Maine, Ragenoldo, Ansgarda lavorò per la successione sul trono dei suoi figli maschi: Luigi e Carlomanno. Spinse l'arcivescovo di Reims a rivedere il suo divorzio, anche se la nuova regina era incinta e poi mise al mondo un erede maschio Carlo il Semplice. Ansgarda e i suoi figli accusarono Adelaide di adulterio e prima della fine dell'879 Luigi III e Carlomanno II salirono congiuntamente sui troni di Francia e di Aquitania; ambedue moriranno, giovani e senza eredi, per una caduta da cavallo, e poco dopo morì anche Ansgarda.

[13] Era nato nel 849 e la madre Osburga era morta che era ancora un bambino di sei anni, mentre i fratelli erano tutti molto più vecchi di lui, specie Ethelbald che aveva 18 anni all’epoca.

[14] In realtà l’età per l’uomo non è influente sulla capacità procreativa come per la donna, anche se ovviamente dopo i cinquant’anni tale capacità diminuisce. Esistono casi storici di sovrani che siano riusciti a procreare a quasi sessant’anni come nel caso di Federico I Barbarossa che a 58 anni ebbe dalla giovane moglie (23 anni in meno) una figlia che però morì prestissimo. Trattasi ovviamente di casi rari, anche perché i matrimoni all’epoca erano fatti dalle famiglie e avvenivano quando gli sposi erano giovanissimi proprio per sfruttarne le capacità riproduttive.

[15] Ethelbert morì nel 865, dopo cinque anni di regno in cui i Danesi avevano invaso l’Inghilterra e gli succedette il terzo fratello Etherelt che però fu ucciso e gli successe a sua volta Alfredo il Grande.

[16] Capolavori della miniatura. I codici miniati più belli del mondo dal 400 al 1600 di Norbert Wolf, TASCHEN ed., 2007 – pagg. 96-97

[17] Bible de Vivien, Bibliothèque nationale de France, Latin 1 (Rif. http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b8455903b/f853.item)

[18] Psalterium Caroli Calvi, Bibliothèque nationale de France, Latin 1152 (Rif. http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b55001423q/f12.item)

[19] Sacramentarium, Bibliothèque nationale de France, Latin 1141 (Rif. http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b53019391x/f14.item)

[20] Codex Aureus von St. Emmeram, Bayerische Staatsbibliothek Clm 14000 (Rif. http://daten.digitale-sammlungen.de/BSB Clm 14000 - folio 14)

[21] Capolavori della miniatura. I codici miniati più belli del mondo dal 400 al 1600 di Norbert Wolf, TASCHEN ed., 2007 – pagg. 98-99

[22] Arnolfo di Carinzia era nipote di Ludovico il Germanico da cui ereditò la corona di Baviera, quella di Re dei Franchi orientali, quella d’Italia (che però perse) e infine quella imperiale dall'896 alla sua morte.

[23] Codex Aureus von St. Emmeram o Evangeliar (Codex Aureus) - BSB Clm 14000 Bayerische Staatsbibliothek ®, Muenchen (Rif. http://daten.digitale-sammlungen.de/~db/0009/bsb00096095/images/)

[24] Codex Aureus von St. Emmeram, Bayerische Staatsbibliothek Clm 14000 (Rif. http://daten.digitale-sammlungen.de/BSB Clm 14000 - folio 14)

[25] Capolavori della miniatura. I codici miniati più belli del mondo dal 400 al 1600 di Norbert Wolf, TASCHEN ed., 2007 – pagg. 102-103

[26] Carlo Magno. Un padre dell'Europa di Alessandro Barbero, Laterza ed., 2002 pag. 84

[27] Contemporaneo

[28] Carlo Magno. Un padre dell'Europa di Alessandro Barbero, Laterza ed., 2002 pagg. 84-85

[29] Il soprannome fin dall’antichità (cognomen) tendenva ad identificare una caratteristica personale dell’individuo e veniva posto alla fine del nome (prenomen, nomen e cognomen). In epoca medievale e antica non esistevano i cognomi intesi come oggi, anche se il nomen identificava la gens e quindi la famiglia di appartenenza dell’individuo. L’uso di soprannomi è diffusissimo nell’antichità e nel Medioevo tanto che ancora oggi certe parole sono utilizzate per identificare una persona: “quello è un Cicerone” per indicare un grande oratore.

[30] La camicia in tal senso era usata anche come il nostro pigiama moderno, non solo come indumento intimo.

[31] Carlo Magno. Un padre dell'Europa di Alessandro Barbero, Laterza ed., 2002 pagg. 86-87

[32] Il tessuto è un drappo di seta di alcuni metri, donato da un’amica di famiglia. Si tratta di una seta azzurra prodotta a Como tra gli anni ’50 e ’60.

[33] Codex Aureus von St. Emmeram, folio 14. Bayerische Staatsbibliothek ®, BSB Clm 14000 - http://daten.digitale-sammlungen.de/~db/0009/bsb00096095/images/index.html?seite=10&fip=193.174.98.30

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