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La Ricerca Storica. Le fonti scritte e le risorse moderne

Indice

La ricerca storica

  I tipi di fonti utilizzabili

  Le fonti scritte

       Le fonti scritte storiche

       Le fonti scritte moderne

Internet: la fonte delle fonti?

       Le biblioteche digitali e i manoscritti digitalizzati

       Libri digitalizzati di cui è scaduto il diritto d'autore

       Enciclopedie online

       Musei e gallerie d’arte virtuali

Fonti bibliografiche

       Siti internet

       Manoscritti

       Altre fonti

Ringraziamenti

 

La ricerca storica

La ricerca storica, ossia la ricerca di tutte le fonti possibili riguardanti un certo avvenimento del passato o i personaggi che vi presero parte, è fondamentale nella rievocazione storica. La ricerca storica è un’indagine che può essere svolta secondo determinati metodi e per raggiungere determinati fini: uno storico può indagare tra i reperti e le fonti del passato per raccontare la vita di un personaggio storico, realizzare cioè una biografia, oppure può indagare al fine di sostenere una tesi che ne confuta un’altra con la quale non è d’accordo o che non è troppo salda.

 

Schema 1 – Schema della ricerca storica

 

Lo storico, a prescindere dal suo fine e dal metodo, si serve di numerosi strumenti i quali possono essere di natura diversa e di epoche diverse. In passato si tendeva a indagare sugli eventi storici scegliendo solo alcune fonti, quelle più significative e quelle meno faziose; ma oggi si usano tutte le fonti possibili e non solo quelle scritte. Più fonti ci sono, anche se contradditorie tra loro [1], meglio è, specie quando tra le fonti si ritrovano le testimonianze dirette di chi visse in una determinata epoca e proprio grazie allo studio di tutti gli elementi a disposizione è possibile ottenere una visione il più possibile completa e soprattutto obiettiva. Nel contesto della rievocazione, la ricerca storica, se fatta bene, permetterebbe di raggiungere due importanti obiettivi: la presentazione reale degli eventi e dei personaggi ma anche la riproduzione filologicamente coerente dei costumi. Nella sua ricerca, lo storico deve fare però i conti con diversi ostacoli, il suo lavoro non è un semplice mettere insieme o miscelare, confrontare, rielaborare e scrivere. La ricerca storica è un vero e proprio studio, non il rimaneggiamento di una vecchia ricetta, per usare una metafora.

 

Schema 2 – La disponibilità di fonti, le tipologie e gli ostacoli riguardo la loro reperibilità, nel contesto della ricerca storica.

 

I tipi di fonti utilizzabili

Lo storico nella sua ricerca si serve di diversi tipi di fonti, che è possibile suddividere in diverse categorie e relative sottocategorie e le fonti di cui si servono gli storici per discutere una tesi o parlare di un personaggio o di un evento, sono esattamente le stesse di cui ci si deve servire in una ricerca storica al fine di ricostruire un costume o di realizzarne uno filologicamente coerente con un determinato periodo storico. La ricerca storica non è priva di ostacoli, specialmente per quanto riguarda alcune tipologie di fonti e aggirare l’ostacolo non sempre è possibile o facile. Le fonti storiche sono soggette a numerosi tentativi di categorizzazione che però sembrano non mettere d’accordo gli specialisti anche perché spesso presentano caratteri di ambiguità o non tengono conto di alcuni fattori.

 

Schema 3 – Schema delle principali tipologie di fonti storiche secondo il Dizionario di storia Treccani [2]

 

Una seconda categorizzazione, più consona alla ricerca storica finalizzata alla ricostruzione o realizzazione filologica di costumi storici è quella che tiene conto delle fonti scritte, di quelle artistiche nel più ampio senso del termine e delle fonti archeologiche, intese come tutti quegli oggetti di uso quotidiano rinvenuti grazie agli scavi archeologici e conservati ed esposti oggi nei musei. Questa suddivisione delle fonti fa sì che alcuni tipi siano tra loro complementari come ad esempio i manoscritti miniati che non solo sono fonti scritte ma anche artistiche per la particolarità delle rappresentazioni e delle decorazioni; altro esempio è offerto dagli arazzi e alcuni tipi di mantelli e tessuti sono oltre che reperti archeologici anche artistici poiché realizzati con materiali e tecniche specifiche di un certo periodo e luogo.

 

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Schema 4 – Alcune tipologie di fonti tra loro complementari

 

Un’altra opposizione è rappresentata dalle fonti verbali e da quelle non verbali. Le prime sono intese come fonti scritte o orali, anche se nei secoli la tradizione orale ha obbligatoriamente dovuto servirsi della forma scritta per essere tramandata [3]; le seconde invece sono intese come tutte le altre fonti da quelle monumentali a quelle iconografiche [4] e quelle materiali.

Per quanto riguarda le fonti iconiche o iconografiche, esse pur essendo utilizzate dagli storici non godono ancora di pari dignità delle fonti scritte e questo è probabilmente dovuto alle rappresentazioni allegoriche della società del tempo in cui vengono realizzate, ma sono una delle tipologie di fonti maggiormente consultata per la realizzazione di costumi storici filologicamente coerenti.

Un’altra categorizzazione, piuttosto generica e che tiene conto soprattutto delle fonti scritte e sulla quale ci si è serviti in parte in questo capitolo, è quella che discerne le fonti primarie da quelle secondarie: le prime sono quelle originali di un’epoca e vengono utilizzate per la ricostruzione storica mentre le seconde altro non sono le che ricostruzioni storiografiche degli studiosi. Si distinguono così le fonti storiche dalle fonti moderne.

 

Schema 5 – Schema dei principali tipi di fonti moderne

 

Un’ulteriore scuola di pensiero contrappone le fonti in volontarie alle involontarie: le fonti volontarie sono tutte quelle fonti, scritte soprattutto, che vengono realizzate con il preciso fine di lasciare traccia di eventi storici o memoria di qualcosa in particolare, ma proprio perché sono scritte appositamente per, possono difettare dei vizi di parzialità dell’autore, delle ideologie che l’autore o gli autori appoggiano o nel caso delle biografie (come nel caso del Vita Mathildis di Donizone di Canossa o il diario di viaggio di Marco Polo), parlando un solo personaggio, le informazioni che si possono raccogliere sono frammentarie. Le fonti involontarie, invece, sono tutte le altre fonti come oggetti, vestiti o frammenti di vestiario che vengono realizzati in un’epoca per essere usati nell’epoca stessa e trasmettono indirettamente delle informazioni, che però sono sempre frammentarie. Le fonti scritte rimangono senz’altro, da sempre quelle preferite da storici e studiosi anche se pure per queste sono state tentate varie classificazioni, in base alla funzione o al contenuto.

 

È importante sottolineare che le fonti storiche, quale che sia la loro tipologia o natura, non sono oggettive, ossia a sé, ma sono il risultato di una elaborazione, consapevole o meno, dell’epoca e della società che l’ha prodotta, mentre la sua conservazione e trasmissione ai posteri sono il frutto di meccanismi di selezione coevi [5] e non, deliberati e spontanei, essenzialmente – ma non esclusivamente – fondati su criteri di utilità e valore venale [6] [7]. Il Mantello di Bamberga, ad esempio, noto anche con i nomi di Mantello delle Stelle e Mantello di Melo da Bari, fu realizzato sì nel XI secolo, ma un suo secondo rimaneggiamento presunto nel XVI secolo, dovuto probabilmente all’usura del tessuto originale dello sfondo, costrinse gli allora artigiani a sostituirlo ritagliando via gli elementi figurativi dall’originale e trasporli su un nuovo tessuto di seta; dunque non è chiaro se l’attuale mantello sia la stessa immagine dell’originale o se gli elementi siano stati disposti diversamente. L’enorme quantità di fonti storiche, in costante crescita, soffre un po’ da sempre di alcuni problemi, che vanno via via acutizzandosi, in particolare legati all’archiviazione, la catalogazione e soprattutto la loro conservazione. I modelli di catalogazione e archiviazione sono numerosi, mentre la conservazione richiede condizioni tali e costanti da mantenere inalterato il bene nel tempo, un’impresa tutt’altro che facile anche se agevolata dalle tecnologie sempre più sofisticate ma anche sempre più costose. Queste tre importanti fasi che riguardano la preservazione e la trasmissione del patrimonio culturale di un Paese sono affidate a personale qualificato e competente ma non sempre aggiornato, poiché le nuove tecnologie hanno rivoluzionato in parte anche il sistema di catalogazione e archiviazione e questi aggiornamenti, sempre più intensi e frequenti richiedono delle conoscenze informatiche sempre maggiori che rendono difficile per gli addetti ai lavori stare al passo, senza contare che più di tutto il resto è la conservazione delle fonti stesse la parte più costosa. La presenza di diversi modelli di archiviazione, inventariazione e catalogazione rende difficile anche la comprensione univoca delle segnature dei testi e quindi la stessa ricerca storica, poiché non esiste un sistema unico universale. Questo problema permane ancora oggi, nonostante l’informatizzazione degli inventari d’archivio (cataloghi) che permettono una più rapida ricerca di certi elementi, senza contare che presso uno stesso Paese possono cambiare aggiornarsi autonomamente le leggi che regolano archiviazione, catalogazione e conservazione e in questo modo sarà impossibile per storici e studiosi, ma anche per gli stessi archivisti e personale addetto lavorare con un unico metodo universale, aggiornabile senza troppe conseguenze sull’intero sistema. L’acutizzarsi di questi problemi è dovuto in parte alla crescente domanda degli utenti, non solo storici e ricercatori e personale specializzato, di accedere a questo sapere direttamente. L’aumento delle richieste di accesso diretto ai beni storici (documenti scritti soprattutto) da parte di un pubblico più ampio di quello tradizionale cui archivi, biblioteche e musei sono abituati per quanto riguarda la ricerca storica, ha portato alla diffusione di un altro fenomeno negativo per gli utenti: gli enti conservatori tendono spesso a mostrare scarsa disponibilità all’accesso diretto (limitandolo) ed adducendo alla necessità di tutelare il bene ricercato, impedendone il più possibile il deterioramento materiale. Si tratta, in vero, di un pretesto avanzato legittimamente dagli enti custodi dei beni in oggetto, non tanto per impedire alla società di conoscere le proprie radici storiche, piuttosto per limitarne consapevolmente l’ulteriore deterioramento materiale dovuto a delle già esistenti cattive condizioni di conservazione. Il limite imposto all’accesso diretto ai beni è però sempre più sostituito dall’allettante e comoda offerta di accedere alla riproduzione del bene, realizzata con mezzi sempre più sofisticati. È il caso dei manoscritti medievali miniati, anche se più facilmente accessibili di quanto possa sembrare e sempre in questa casistica rientrano anche i beni dei musei che magari non vengono più esposti al pubblico proprio per le ragioni descritte, oltre che probabilmente per ragioni di sicurezza [8]. La digitalizzazione dei beni però non è la soluzione poiché non tutti se lo possono permettere e questo per via dell’investimento che comporta l’acquisto di certe tecnologie di scansione ed elaborazione immagini, nonché supporti fisici e virtuali di memorizzazione per le immagini, oltre al loro mantenimento ed aggiornamento; inoltre la digitalizzazione dei beni toglie all’utente che vi vorrebbe accedere, anche studiosi, l’esperienza di poter effettuare l’analisi visiva e tattile del reperto nonché valutare la sua autenticità e fare una valutazione critica che solo l’essere umano può fare, elaborando informazioni scientifiche e integrandole con le proprie conoscenze.

 

Il progresso tecnologico ha poi fatto si che grazie ad internet, i reperti digitalizzati divenissero noti in tutto il mondo con accesso comodo e veloce direttamente dal terminale dell’utente interessato, ma nessun computer può sostituire l’esperienza del contatto diretto e fisico con il reperto storico. Un’altra insidia della digitalizzazione dei beni è che essa, pur essendo per certi aspetti molto comoda, in realtà mina la stessa ricerca storica, quella che serve per le rielaborazioni storiografiche e mina la qualità scientifica dei materiali o dei frammenti poiché una fotografia digitale non si può sottoporre ad un’analisi chimico-fisica. La digitalizzazione che, si vedrà in seguito, sembra essere la manna dal cielo, in realtà porta più problemi che soluzioni perché con essa l’utente finale perde il contatto con la materialità dell’oggetto, specie se non riprodotto e quindi di più difficile accesso, e, con internet, rischia di diventare l’unico strumento di ricerca. Detto questo, non si vogliono demonizzare né digitalizzazione né internet: essi hanno un ruolo importante, influente nella ricerca storica poiché consentono l’accesso a vastissime raccolte di dati e fonti storiche e devono essere usati. Solo perché sono stati elencati prima i problemi delle soluzioni dell’era della digitalizzazione nel campo della ricerca storica, non significa che non vi siano anche aspetti positivi: oggi il web, proprio grazie alla digitalizzazione di testi e foto di reperti, sembra risolvere in parte il problema della distanza, della quantità, della reperibilità e disponibilità di fonti storiche. Altro aspetto positivo è che grazie ad internet sembra realizzabile il sogno di una biblioteca universale cui attingere senza troppi problemi, anche se in realtà non è così e, dulcis in fundo, vanno diffondendosi i portali a tema che rimandano ad altri siti, senza contare le vaste reti tra biblioteche e università.

 

Il web è una fonte utilizzabile e anche importante, ma non è necessariamente la prima da consultare né la sola e soprattutto bisogna saperlo usare. Non basta scrivere una cosa in un motore di ricerca per trovarla perché probabilmente non si troverà. Il web è più una chiave di ricerca che apre tante “porte”, e non bisogna lasciarsi ingannare dall’apparente comodità che offre il mondo digitale perché tante cose che possono servire nella ricerca storica, specie per ricostruire un costume, non sono sempre online. Se da un lato il web e le nuove tecnologie hanno permesso di fare in pochi decenni secoli di progresso e oggi moltissimi musei si sono creati una versione digitale parallela a quella reale; dall’altro lato ci si deve per forza servire dei cosiddetti vecchi metodi. Molte fonti, infatti, non essendo ancora state messe sul web non sono note al pubblico, ma non per questo hanno cessato di esistere o hanno perso il loro valore e la loro storia. Il web è come la pubblicità: se e come si parla di un prodotto questo diventa noto e rende, ma se non se ne fa menzione, il prodotto è come se non esistesse. Le fonti storiche corrono lo stesso rischio ed è da apprezzare lo sforzo (quindi l’investimento) che molti enti oggi hanno compiuto sino ad oggi per rendere pubblico e noto un certo bene [9], accorciando grazie al web le distanze rispetto al resto del mondo.

 

Schema 6 – Schema dei vantaggi offerti dalla digitalizzazione e dalla pubblicazione in rete delle fonti storiche

 

Schema 7 – Schema degli svantaggi offerti dalla digitalizzazione e dalla pubblicazione in rete delle fonti storiche

 

Per ogni tipo di fonte descritta si è cercato di trattare anche i principali problemi riguardo alla reperibilità e disponibilità e le principali soluzioni da adottare. Fin da ora si tiene a precisare che per quanto riguarda manoscritti miniati e fonti artistiche di altro tipo oltre ai reperti, sono stati citati gli esempi più o meno noti al pubblico, poiché citarli tutti è praticamente impossibile.

 

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Le fonti scritte

Quando la ricerca storica è mirata alla ricostruzione o realizzazione di un costume storico filologicamente coerente in base ad un periodo (e quando possibile anche ad un luogo [10]) è importantissimo l’uso delle fonti scritte sia storiche sia moderne. Le fonti scritte storiche sono intese come tutti i tipi di documenti realizzati nell’epoca a cui si fa riferimento e quindi sia libri manoscritti (quelli miniati sono le fonti che interessano di più rispetto ai contenuti poiché sono le immagini a fornire le informazioni sul costume e gli ambienti, i personaggi); sia a tutti quei documenti diversi dai manoscritti come le Leggi, gli Statuti, gli atti notarili ecc. Le fonti scritte moderne sono invece intese come tutti quei testi moderni che pur trattando diversi argomenti costituiscono nel loro insieme la bibliografia dedicata al Medioevo ed al costume medievale, più in generale alla storia del costume.

 

Le fonti scritte storiche

Schema 8 – Schema dei principali fonti storiche scritte

 

La fonte scritta è una delle più importanti tipologie di fonte della quale gli storici si servono per dimostrare una tesi o per parlare di un personaggio storico (biografia) o raccontare i dettagli di un evento [11]. La ricerca storica volta al fine di ricreare un costume filologicamente coerente con un periodo storico si deve basare allo stesso modo sulle fonti scritte, anche se nel caso specifico del costume storico le fonti scritte più importanti sono i manoscritti miniati e i documenti diversi dai manoscritti quali i documenti notarili (testamenti e doti), i documenti legislativi, in particolar modo le leggi suntuarie [12] e le leggi sul commercio [13]. Reperire questi documenti non è facile, innanzitutto perché non è detto che di un luogo si trovino tutti i tipi di documenti suddetti con riferimento ad un certo periodo e più un luogo è piccolo e più è difficile trovare una fonte scritta specifica. Il primo ed il maggiore degli ostacoli è dato dunque dalla possibilità che di un periodo storico in particolare o di un personaggio non si trovino tantissime fonti e i motivi sono diversi. Il materiale di cui sono fatti i documenti scritti antichi è organico e soggetto a rapido deterioramento o decomposizione, se essi non fossero stati debitamente conservati; inoltre è anche più facile da distruggere: molti reperti di questo tipo nel corso della storia sono andati perduti perché reimpiegati o distrutti (incendi, allagamenti, ecc.) [14]. Il secondo ostacolo che non sempre permette di trovare un numero sufficiente di fonti scritte è dovuto al fatto che queste, quando non fossero andate accidentalmente o dolosamente distrutte nel corso della storia, potrebbero essere state oggetto di scambio tra i possessori o di furti e dunque non sempre raggiungibili e consultabili fisicamente [15]. Talvolta questi documenti non sono conservati nello stesso luogo o Paese in cui sono stati realizzati e per questo non sempre sono raggiungibili e si tratta di una casistica in cui rientrano i manoscritti, specialmente quelli miniati. Il caso dei manoscritti è un caso, a dire il vero, a sé: già quando erano realizzati erano noti per il loro inestimabile valore e quindi oggetto di interesse anche per i ladri e soprattutto invasori che li utilizzavano come merci di scambio dopo aver depredato abbazie e monasteri. Durante le ultime ondate d’invasioni barbariche furono molti gli scriptorium che subirono danni o furono perfino distrutti dagli incursori, e, se non fosse stato per i monaci, molti manoscritti oggi non sarebbero giunti sino a noi. Dopo vari passaggi di mano nel corso della storia, quando non siano stati acquistati da facoltosi privati, la maggior parte dei manoscritti sono stati donati a biblioteche [16] o da esse recuperati e poi esposti al pubblico ed eventualmente digitalizzati. In tal caso il web, oltre ad accorciare le distanze, offre la grande possibilità di ammirare e ‘sfogliare’ testi antichi: vantaggio non da poco perché, un tempo, gli studiosi dovevano fisicamente spostarsi anche su lunghissime distanze per vedere un particolare libro in cui magari vi era il presunto ed unico ritratto di un certo personaggio o per consultare particolari documenti. Naturalmente non tutti i manoscritti di tutte le biblioteche del mondo, come accennato prima e in nota, sono digitalizzati e in alcuni casi è ancora necessario doversi spostare fisicamente o diventa obbligatorio rifarsi ad una bibliografia [17]. Fatta eccezione per i testi digitalizzati, i manoscritti sono talvolta difficilmente raggiungibili non solo perché custoditi in luoghi diversi da quello in cui stati prodotti, ma anche perché a volte l’opera è sopravvissuta in frammenti [18] che significa non solo che di un libro sopravvivono poche pagine o qualche straccetto, piuttosto che un’opera è fisicamente divisa in diverse parti sparse in punti diversi del mondo. Come si diceva prima, nel caso della realizzazione o ricostruzione filologicamente coerente di un costume storico, quello che interessa di più di un manoscritto sono le miniature, le quali possono essere rappresentazioni di scene o decorazioni che in tanti casi occupano pagine intere. Da questo tipo d’immagini abbiamo informazioni diverse sul costume di un’epoca e di una cultura: i personaggi e la società vengono rappresentati così come sono nel periodo in cui viene realizzato il manoscritto e per altro permettono di compensare in parte il lacunoso repertorio del costume altomedievale, del quale si sa così poco e che spesso nelle rievocazioni storiche non sempre viene correttamente rappresentato [19]. Dalle miniature medievali si possono ottenere diversi tipi di informazioni sul costume, seppure non complete e da compensare in alcuni casi con altri tipi di fonte scritta o altri tipi di fonti storiche.

 

Schema 9 - Informazioni sul costume medievale dalle miniature

 

Figura 1 – Esempio di informazioni che si possono trarre da una miniatura carolingia. L’immagine è la rappresentazione di Carlo il Calvo (anche se alcuni hanno azzardato ad una rappresentazione di Carlo Magno), tratta dal Psalterium Caroli Calvi, Bibliothèque nationale de France, Département des Manuscrits, Latin 1152, folio 3v[20].

 

Figura 2 – Altro esempio di informazioni che si possono trarre da una miniatura carolingia. L’immagine è tratta dal Sacramentario di Carlo il Calvo [21]. Bibliothèque nationale de France, Département des Manuscrits, Latin 1141, folio 2v [22].

 

Figura 3 – Contornate in giallo le parti che possono essere utili per realizzare decorazioni nei costumi medievali. Pagina miniata del Vangelo secondo Matteo tratti dall’Evangeliario di Lorsch, folio 37. La pagina fa parte del frammento custodito presso la Biblioteca Nazionale della Romania e la cui copia digitale è invece stata realizzata dalla Biblioteca dell'Università di Heidelberg [23].

 

Figura 4 – Contornate in giallo le parti riguardo al taglio degli abiti e alla disposizione dei colori nell’abbigliamento mentre in rosso è evidenziato il tipo di decorazione dei tessuti. Miniatura tratta dalle Grandes Chroniques de France, un esemplare del 1375 ca. Bibliothèque nationale de France, Département des Manuscrits, Français 2813, folio 480v [24]

 

Figura 5 – In giallo sono sempre contornati i modelli e i tagli di abbigliamento femminile e maschile, insieme ai colori mentre in arancione vi sono i modelli ecclesiastici ed infine in azzurro è evidenziato un tipo di acconciatura del XIV secolo. Miniatura tratta dalle Grandes Chroniques de France, un esemplare del 1375 ca. Bibliothèque nationale de France, Département des Manuscrits, Français 2813, folio 446v (Battesimo di Carlo VI) [25]

 

Figura 6 – L’Ordine delle Stelle, creato da Giovanni il Buono, Re di Francia ad imitazione dell’Ordine della Giarrettiera creato da Edoardo III d’Inghilterra nel 1348. L’uniforme consisteva in una tunica bianca, in damasco e un mantello rosso foderato internamente di bianco e aveva appuntata ad altezza del cappuccio una stella nera ad otto punte con varie pietre preziose. La dimensione esatta della stella e il numero oltre che il valore delle pietre era deciso a seconda del monarca in carica. Sembra che internamente alla stella venisse ricamato in oro il motto “Monstrant regibus astra viam” ovvero “La stella che guida i Re” con riferimento alla Stella di Betlemme che guidò i Magi. Sembra che l’uniforme completa prevedesse anche un anello con lunetta circolare, smaltata di rosso con una stella ad otto punte in smalto bianco al centro mentre intorno vi era inciso il motto dell’ordine. L’ordine ebbe breve durata. Miniatura tratta dalle Grandes Chroniques de France, un esemplare del 1375 ca. Bibliothèque nationale de France, Département des Manuscrits, Français 2813, folio 394r [26]

 

Le informazioni che si possono trarre dalle miniature medievali non sono così complete come può sembrare a prima vista e vanno in genere integrate da altri tipi di fonte. Il numero di manoscritti d’epoca medievale pervenuti sino ad oggi è elevato e si è osservato che di questi il numero di testi altomedievali è leggermente inferiore a quello dei testi bassomedievali e che di ogni periodo il numero di testi di letteratura sacra è sempre maggiore di quello dei testi di natura profana. I testi miniati pur restando numerosi rimangono una minoranza dell’intero repertorio, anche perché erano costosissimi, ancor più dei testi solo scritti. La miniatura era in sé una forma di lusso che veramente pochissimi potevano permettersi e ancor oggi il loro valore è inestimabile. I manoscritti miniati e così anche le altre forme di documenti scritti antichi, oggi sono conservati per lo più presso sedi dell’Archivio di Stato [27] o presso gli Archivi ecclesiastici [28] che a loro volta hanno sede rispettivamente presso i comuni e le province e presso le Diocesi. Diverso è il caso delle Biblioteche e degli altri tipi di enti che seguono generalmente la disciplina degli archivi privati, ma possiedono un proprio codice per quanto riguarda la consultazione e riproduzione di immagini di propri beni. Oggi biblioteche ed archivi hanno quasi tutti un sito e un sistema online (database) che seppur complicato permette di capire almeno che intervallo di tempo occupano i documenti e di che tipologia sono, anche se nel dubbio è meglio informarsi direttamente presso la sede interessata. Ora è bene fare una parentesi: la maggior parte delle rievocazioni storiche medievali in Italia è ambientata nel Basso Medioevo che non nell’Alto Medioevo e sono distribuite in modo disomogeneo sul territorio nazionale e da uno studio effettuato [29] risulta che siano le città di medie o grandi dimensioni a ospitare le rievocazioni storiche (o a realizzare iniziative a tema) rispetto a quelle piccole (comuni o frazioni) che in molti casi del proprio passato non hanno più nulla a causa delle ultime due guerre. Fatto salvo casi eccezionali, in genere più piccolo è un luogo e più è difficile trovare testimonianze antiche. È anche vero d’altra parte che più antico è il tipo di fonte che si cerca e più sarà difficile trovare un certo numero esemplari di quel tipo, specialmente testi manoscritti illustrati. Se la rievocazione di un certo luogo è, ad esempio, ambientata nell’Alto Medioevo e si stanno cercando immagini dell’epoca è opportuno cercare o codici miniati datati al periodo di riferimento (il secolo in questo caso) o riferirsi alle fonti artistiche e archeologiche locali, se ce ne sono, di epoca romanica (decorazioni di portali o facciate di pievi, o affreschi interni) rimanendo sempre nell’intervallo di tempo di ambientazione dell’evento. Non è corretto prendere di riferimento tutto l’Alto Medioevo, al più ci si può muovere in un periodo di non oltre 150 anni.

Lo stesso discorso vale per il Basso Medioevo, anche se i tipi di fonti ed i numeri di esemplari per ogni tipo sono maggiori. Perché usare immagini storiche del luogo, quando i più sarebbero tentati di usare internet per la sua apparente comodità? Perché le immagini di un certo periodo storico di quel luogo ne raccontano appunto la storia e quindi anche i costumi, la vita. Internet quando possibile deve essere l’ultima o una delle ultime risorse. E le immagini, specie le miniature di manoscritti possono trovarsi solo nei luoghi suddetti. Ma come accedere? Si tratta di testi che solo i possessori di titoli di studio specifico possono consultare? Innanzitutto bisogna delineare il periodo di storia che interessa e rivolgersi all’Archivio di Stato o biblioteca nella propria città o provincia o addirittura nella propria diocesi; bisogna informarsi sugli orari e sulla reale disponibilità di testi miniati di un certo periodo e poi bisogna informarsi sulla possibilità di consultazione degli stessi.

Si pensa comunemente che questi luoghi siano chiusi al pubblico privo di titoli di studio particolari e per risolvere definitivamente questo dubbio radicato nella mentalità collettiva, si è chiesto consiglio al Prof Alessandro Barbero, Professore di Storia Medievale presso Università degli Studi del Piemonte Orientale "Amedeo Avogadro" (Vercelli).

 

«Sono in molti a condividere il timore che gli archivi siano luoghi riservati e di difficile accesso, in realtà non è così e, a dire la verità, anche gli archivi ecclesiastici, presenti in ogni città (archivi vescovili, capitolari ecc.) possono presentare qualche difficoltà, legata soprattutto agli orari ristretti di apertura, ma sono luoghi aperti al pubblico. Quanto agli archivi di Stato, sono luoghi pubblici spalancati a tutti, non è richiesta alcuna qualifica per entrarvi, e chiunque può accedervi e avere accesso di prima mano a qualunque documento, anche le pergamene più preziose: non c'è proprio niente di delicato e riservato. Detto questo, però, è bene aggiungere che per il genere di ricerca che dovete fare, riguardo soprattutto ai costumi, non bisogna andare a cercare documenti d'archivio. A meno, s'intende, che voi non sappiate già quali documenti consultare, perché vi hanno segnalato qualcosa di particolarmente utile (che so, documenti di mercanti sull'acquisto o la tintura di panni) ma anche in questo caso, è dalla storiografia che dovete partire. Sono pochissimi e molto particolari i documenti che possono contenere qualche informazione del genere che voi cercate; e siccome esistono innumerevoli studi, invece, sulla produzione artigianale e il commercio del Medioevo, gli autori di questi studi hanno già fatto il faticoso e lunghissimo lavoro di ricerca dei pochi documenti utili, e voi leggendo un libro troverete più informazioni di quelle che trovereste da soli lavorando dieci anni in archivio. Cominciate perciò a costruirvi una bibliografia su questi temi (produzione e commercio dei panni, coloranti e arte della tintura) e vedrete che troverete molte delle informazioni che cercate » [30].

 

Nel caso dei manoscritti, specie quelli miniati che sono quelli che più interessano perché le miniature sono come “fotografie” dell’epoca, l’eventuale riproduzione (fotografia della miniatura o decorazione) è il maggior ostacolo, specie quando gli enti sono privati o ecclesiastici e quando i regolamenti interni sono particolarmente restrittivi circa i diritti d’autore. Normalmente, però, è consentito fare fotografie senza flash e con uso delle immagini acquisite esclusivamente e assolutamente personale [31].

 

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Le fonti scritte moderne

Le fonti scritte moderne sono tutti gli studi (ricerche storiche a loro volta, in alcuni casi) realizzati nel passato recente e nel presente; fonti delle quali ci si può e ci si deve servire nella ricerca storica dedicata al costume, alla sua ricostruzione e realizzazione, ponendo però attenzione ad alcuni elementi.

 

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Schema 10 – Schema delle principali tipologie di fonti moderne

 

Le fonti scritte moderne sono essenzialmente rappresentate dalle bibliografie – come si diceva prima – e dalle fonti digitali, specialmente internet. La bibliografia è l’elenco sistematico di opere, saggi e articoli concernenti uno specifico autore o argomento; in un certo senso è l’insieme di tutte le fonti scritte disponibili per la ricerca che s’intende compiere. Mentre la bibliografia indica un insieme generico di fonti, le monografie e la storiografia sono una cosa completamente diversa e molto specifica.

 

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Schema 11 – Schema ipotetico di una bibliografia, nel caso di una ricerca finalizzata alla realizzazione di un costume storico di Parma nel XIV secolo.

 

Una bibliografia può essere composta da monografie e storiografie. La monografia è uno scritto specifico su un soggetto determinato e sebbene il termine venga utilizzato soprattutto in campo scientifico e accademico ed inteso in quel senso come un’indagine descrittiva, corredata da illustrazioni, schemi e grafici; in altri ambiti la monografia è l’elenco di testi specifici su un unico, preciso argomento. Nel caso della ricerca storica che mira alla realizzazione o alla ricostruzione di un costume filologicamente coerente con il periodo rappresentato, le monografie saranno soprattutto rappresentate dai testi sulla storia del costume che tante volte trattano anche in parte la storia dei tessuti e delle tinture (e quindi del loro commercio e le eventuali limitazioni imposte dalle normative suntuarie). Le monografie in molti casi permettono di tracciare dei “confini” nella ricerca storica ma come ha consigliato il Prof. Alessandro Barbero, è sulla storiografia che bisogna concentrare la ricerca stessa, perché è molto più specifica permettendo di focalizzare gli argomenti di nostro interesse per quel preciso periodo storico e quel luogo. La storiografia è infatti definita come la composizione di opere storiche, in quanto implica una consapevolezza critica e metodologica. È intesa anche come la produzione di opere storiche di una data epoca o in riferimento ad una data epoca.

 

 

Schema 12 – Schema ipotetico di una storiografia, nel caso di una ricerca finalizzata alla realizzazione di un costume storico di Parma nel XIV secolo.

 

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Schema 13 - Schema ipotetico di una serie di fonti sul costume medievale nel XIV secolo, nel caso di una ricerca finalizzata alla realizzazione di un costume storico del medesimo periodo.

 

L’esempio mostrato sopra sarebbe lo stesso nel caso di un costume del Mille o di un costume del XV secolo, indipendentemente dalla città o dalla grandezza della rievocazione. Si veda altro esempio proprio sul costume carolingio del VII e VIII secolo.

 

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Schema 14 - Schema ipotetico di una storiografia, nel caso di una ricerca finalizzata alla realizzazione di un costume storico di epoca altomedievale, specificamente un costume di epoca carolingia.

 

La bibliografia può essere realizzata anche seguendo una scaletta che permetta di individuare i punti centrali della ricerca.

 

Schema 15 – Esempio di scaletta che permette di tracciare una bozza nella ricerca storica che mira alla ricostruzione di costumi filologicamente coerenti destinati a un corteo, per una rievocazione.

 

Per quanto riguarda il quando e il dove si tratta di due parametri che non sono universali per ogni costume e figura: se siete i costumisti della rievocazione della vostra città dovrete guardare alle fonti che riguardano la storia della vostra città; ma se siete privati o associazioni che partecipano a rievocazioni di altre città bisognerà adattarsi almeno all’epoca di riferimento della città ospite [32] [33]. Per fare un esempio si cita il tipo di ricerca da noi svolta per la realizzazione dei costumi delle figure storiche quali l’Inquisitore Florio da Vicenza e della cittadina parmense Elina de’ Fredolfi che hanno sfilato nel VII Centenario del Palio di Parma. In questo caso si volveva introdurre nel corteo di Porta [34] due figure diverse, appartenenti alla storia della città nel periodo storico dei secoli XIII e XIV e si volevano due figure che potessero anche colpire il pubblico, che da sole raccontassero la storia realmente accaduta dei personaggi rappresentati. I testi da noi utilizzati erano tutti quelli riguardanti la storia di Parma in epoca medievale, specialmente i secoli XIII e XIV che sono anche i secoli in cui vissero e si svolsero gli importanti avvenimenti che portarono poi alla prima edizione del Palio. Grazie ad una prima ricerca storica si venne a conoscenza di una condanna a morte e della successiva esecuzione per rogo contro una donna, accusata e rea confessa di essere seguace dei Catari. L’Inquisitore che aveva competenza sul territorio parmense all’epoca era il domenicano Florio da Vicenza e quindi si è partiti da questi due argomenti per sviluppare la ricerca storica vera e propria, prima di realizzare i costumi. In questo caso internet è stato un prezioso aiuto, specialmente perché è stato possibile reperire alcuni titoli anche piuttosto antichi che parlano della storia di Parma e testi che narrano della vita di personaggi, come Fra’ Salimbene, che sono stati testimoni degli eventi raccontati e che quindi forniscono, indirettamente, un prezioso contributo. Altri testi consultati sono stati quelli riguardanti la storia dell’Inquisizione, la fondazione dell’Ordine Domenicano e la sua attività nel territorio emiliano e lombardo; in questo modo si sono trovate anche informazioni sul costume dell’Ordine. Infine sono stati utilizzati i testi di storia del costume, anche in lingua straniera, per meglio individuare il taglio, i materiali e i tipi di cucitura. Altro tipo di fonte utilizzata sono state le miniature manoscritte e le immagini di affreschi datate tra il XIII e XIV secolo. Utili sono stati, infine, i testi di storia dell’arte o le miniature e riferimenti citati nelle bibliografie degli autori consultati e ancora una volta, ma sempre come ultima risorsa, ci si è serviti di Internet per trovare se possibile le immagini digitali dei manoscritti e degli affreschi. Si riporta la scaletta da noi realizzata in quell’occasione:

 

 

 

Schema 16 – Schema della scaletta realizzata per la realizzazione dei costumi

 

Lo stesso procedimento è stato effettuato, seppure in riferimento ai secoli VIII-IX, per la ricostruzione della Tunica di Carlo il Calvo così come è rappresentata nel Codex Aureus (Clmusei 14000) e per la realizzazione del costume di epoca matildica in riferimento ai secoli XI-XII, sulla base delle miniature del Vita Mathildis (Acta Comitissae Mathildis) e di altri codici germanici e francesi dello stesso periodo.

 

La costruzione di una bibliografia non è affatto semplice come può sembrare, soprattutto ai neofiti, perché non è sufficiente cercare per trovare e quando si trovano delle informazioni è bene selezionarle, suddividerle eventualmente e la costruzione di una scaletta aiuta molto in questo senso perché imposta già un certo ordine da seguire. Un comportamento da seguire e che permette di evitare errori consiste nel controllare che i testi che si vanno trovando e selezionando abbiano per quanto possibile una lista bibliografica di fonti: in genere i riferimenti alle fonti citate dagli autori sono riportate in nota e alla fine di un testo [35]. La bibliografia sulla quale si basa la ricerca storica è fondamentalmente di due tipi: generica e specifica. Sono generiche le fonti che permettono di inquadrare il periodo storico e i personaggi senza però entrare nel dettaglio e questo accade quando, per esempio, si lavora su testi che parlano della storia di una città, storia di una regione, storia di un territorio. Sono specifiche, invece, le fonti storiografiche e monografiche proprio per la peculiarità e la specificità con cui trattano certi temi. Sono esempi di fonti storiografiche quelle che si concentrano su quella parte di territorio in quel preciso periodo di storia, possono descrivere anche nel dettaglio i personaggi storici e le loro vite (cenni biografici), gli eventi tra cui quello che è al centro di una rievocazione o un evento storico che si vuole ricostruire. Sono esempi di fonti monografiche i testi di storia del costume che in alcuni casi sono molto generici poiché contemplano tutta la storia del costume dall’antichità all’età moderna e contemporanea; mentre in altri casi tendono ad essere molto specifici tanto da contenere notizie e schemi sul taglio, sui tessuti, sui colori, sui modelli, sugli accessori, ecc. Un problema che si presenta spesso nella ricerca di testi dedicati al costume medievale, e, in particolar modo alla sua realizzazione, è rappresentato soprattutto dalla lingua con cui la maggior parte di questi testi sono scritti. La bibliografia dei testi di storia del costume in lingua italiana, eccezion fatta per alcuni titoli di libri di testo scolastici, è piuttosto scarsa e tende ad essere oltre che abbastanza generica anche priva di schemi di taglio, modelli, numero di vesti indossate, tessuti, materiali e altre tecniche. I libri di testo, come si può immaginare, son rivolti alle scuole del settore tessile e della moda e forniscono una formazione generale per chi vuole lavorare nel mondo della moda di oggi, non nelle rievocazioni o nello studio del costume del passato. I testi italiani che trattano del costume storico in modo metodico sono i più rari e non sono sempre accessibili al pubblico perché non sono state fatte molte edizioni, quindi le biblioteche li mettono a disposizione in sola consultazione. Si tratta però sempre di testi rivolti ad un pubblico eterogeneo, quando anche le spiegazioni e le terminologie sono dettagliate e specifiche, difficilmente sono riportati schemi da manuale che servirebbero per capire come erano fatti realmente gli elementi di vestiario. Le descrizioni tutt’altro sono che facili da ‘convertire’ in schemi di taglio e confezione per chi lavora ai costumi nelle rievocazioni; si trovano piuttosto citate fonti artistiche o reperti archeologici consultati dagli autori [36]. Esistono alcuni testi italiani datati al XIX secolo, talvolta illustrati, che trattano l’argomento ‘costume de’ popoli antichi’ inteso come insieme di usi e tradizioni e non il vestiario che invece interessa al rivocatore che vuole ricostruire o realizzare costumi storici. Questi testi sono quelli cui bisogna fare più attenzione perché possono contenere informazioni anche errate [37] [38].

A differenza della bibliografia italiana, quella straniera – specialmente in lingua inglese – è vastissima, oltre a vantare una produzione ormai storica di testi, a partire già dal XIX secolo [39]. I testi stranieri, differentemente da quelli italiani, tendono ad essere non solo più dettagliati, tecnici e illustrati, ma contengono riproduzioni abbastanza fedeli, in genere attraverso disegni [40], di statue e schemi del taglio dei vestiti indossati dalle persone raffigurate o disegni delle decorazioni. In altri casi vengono riprodotte approssimativamente le figure di personaggi visti in miniature medievali vere, probabilmente perché gli autori hanno avuto sotto mano l’opera originale e in genere per ogni figura è riportata la fonte. Questi testi hanno, anche i meno recenti, una buona percentuale di affidabilità per quanto riguarda la coerenza storica. C’è chi dice oggi che tali testi non siano affidabili per la realizzazione o ricostruzione di costumi storici, specie italiani, e che rispondano in vero al bisogno dei romantici del XIX secolo di riscoprire il Medioevo; ma si tratta di un’affermazione errata perché un’attenta analisi di questi testi e un confronto con testi più recenti dimostra il contrario [41]. Il fatto che questi testi non sempre tengano conto del costume italiano, è vero nel senso che dipende dagli autori: i più tengono a citare l’Italia tra i Paesi che in epoca bassomedievale producevano i tessuti più belli e raffinati, mentre sul periodo altomedievale italiano le informazioni scarseggino pure nei testi stranieri, ma questo è un problema di mancanza di fonti originali storiche, non di scelte degli studiosi [42]. Quanto ai testi più recenti, questi sono spesso basati sui testi più antichi e riportano spesso gli stessi schemi di taglio [43] oltre a riprodurre le stesse fonti, magari in fotografie più nitide a colori e presentano riproduzioni di laboratorio di costumi storici, indossati da modelli o manichini con relativi copricapi e accessori. L’inglese, piaccia o no, è attualmente la ‘lingua universale’, la stessa ricerca scientifica parla inglese e poiché molti testi attuali di storia del costume sono frutto di ricerche accademiche scientifiche (come realizzavano i materiali, che pigmenti usavano, ecc.) non è troppo strano che questi testi siano proprio in lingua inglese [44] e così anche i manuali affini [45]. Il problema rimane la loro comprensione e il loro uso, perché chi lavora nelle rievocazioni storiche nel nostro Paese, non sempre ha dimestichezza con questa lingua per motivi diversi, principalmente dovuti a enormi differenze generazionali e ai diversi livelli d’istruzione. Nelle rievocazioni storiche in Italia chi lavora ai costumi è quasi sempre lo stesso personale che si occupa dell’intero evento dal corteo agli spettacoli, dagli espositori e gli ambulanti ai punti di ristorazione e in un contesto simile è facile capire che i costumi e la coerenza storica per molti trovano il tempo che rimane. Di tutto il personale addetto alla gestione degli eventi, le persone che si occupano quasi esclusivamente dei costumi sono pochissime quando non è una sola [46] [47] e si tratta di persone che non lavorano nel settore del costume e della moda né tanto meno della sartoria, lo fanno soprattutto per passione e procedono nella maggior parte dei casi partendo da zero guardando fonti generiche, e una volta adottato un modello che figura bene, dopo viene usato sempre quello e a cambiare sono i tessuti, i colori e le decorazioni. Quando fu pubblicato il questionario “Rievocazioni e cortei storici...qual'è lo status quo?” l’impostazione delle domande mirava alla formazione di ‘profili’ di utente tra i quali vi era quello specifico per la realizzazione dei costumi storici all’interno delle rievocazioni. L’obiettivo del questionario era proprio ‘trovare’ queste persone o gruppi di persone per chiedere loro, attraverso una seconda intervista, come realizzano i costumi storici. Sfortunatamente, al profilo ricercato non corrisponde quasi nessuno dei partecipanti perché non sono le stesse persone che nello staff di una rievocazione realizzano direttamente i costumi pur sapendo chi se ne occupa [48]. I partecipanti al questionario corrispondenti al profilo ricercato non solo sono pochissimi, ma realizzano i costumi per sé e basta e di questi solo 1 su 10 lavora anno per anno o comunque metà anno seguendo una scaletta, cercando delle fonti. La maggior parte degli intervistati, corrispondenti al profilo suddetto, lavora quasi esclusivamente utilizzando testi di storia medievale, testi di storia del costume in italiano quando se ne trovano [49], dipinti ed immagini dell’epoca da rappresentare; anche internet viene ampiamente utilizzato ma solo lo 0.5% delle persone si serve anche di fonti in lingua straniera e in genere per necessità, in mancanza di altro, perché dicono: «l’inglese è difficile», «non ci si capisce niente», «non so cosa cercare», «l’ho fatto a scuola ma era tutto tecnico e incomprensibile, lo odiavo», «a scuola l’inglese veniva insegnato con qualcuno che ti spiegava solo in inglese e non ci capivo niente» [50] e qualche ardito confessa di usare i traduttori simultanei offerti dal web per trovare qualche dettaglio, immagini soprattutto, ma non osano spingersi più in là [51]. È da precisare poi che chi lavora ai costumi storici nelle rievocazioni, per sé o per altri e ha quindi capacità e manualità rientra nella fascia d’età tra i 40 ed i 50 anni e appartiene a quella generazione di persone che l’inglese lo ha dovuto imparare per forza, con metodi e strumenti diversi da quelli di oggi e si trova molto in difficoltà nello svolgere un minimo di ricerca storica, anche solo attraverso internet. I giovani invece, specie quelli della fascia 15-25 anni sono quelli che vengono da più indirizzi e livelli d’istruzione, studiano con metodi nuovi e fonti aggiornate e studiano l’inglese. Anche se questi ragazzi non avessero magari capacità e manualità quanto a cucito, potrebbero contribuire nelle loro rievocazioni occupandosi della parte di ricerca storica, integrando in tal modo il lavoro degli staff che si occupano solo di costumi, ma il problema è che i giovani o non s’interessano per niente a questo settore o s’interessano solo per partecipare come figuranti. All’estero accade il contrario: c’è molto interesse per questo tema e c’è molta domanda da parte del pubblico, c’è molto lavoro da parte di tutte le fasce d’età, c’è maggior investimento e di conseguenza anche per questo c’è molta più produzione libraria. Infine, numerosissimi sono i siti dedicati al solo tema del costume storico medievale, numerosissimi sono i blog e i portali dedicati a questo argomento. Il problema? Rimane sempre l’inglese e qualche volta, dice qualcuno, non solo quello. L’ostacolo più grande nelle rievocazioni, per quanto riguarda la parte della ricerca storica, è rappresentato proprio dalle conoscenze linguistiche e dalla mancanza di interesse per i giovani a integrare il lavoro di chi lavora ai costumi per fornire al pubblico delle novità e dei costumi realistici. Internet per molti è oggi il luogo del social network, del servizio di posta e del divertimento, dell’informazione intesa come notizia d’attualità o gossip, ma internet non è questo: è molto meglio e molto di più se usato bene.

 

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Internet: la fonte delle fonti?

Nella parte introduttiva si sono discussi i principali vantaggi e svantaggi offerti dalla digitalizzazione e dalla immissione, diffusione e conservazione in rete delle fonti storiche nonché dall’uso di internet come strumento di ricerca storica, mentre ora si vedranno quali sono effettivamente le reali potenzialità di questo strumento; quali i suoi principali usi, quali i limiti e quali le soluzioni che realmente offre.

Internet ha da subito rivoluzionato la vita delle persone, poiché permette una continua e intensa comunicazione oltre allo scambio di dati. Di fatto il web è una sorta di universo virtuale che offre infiniti servizi e possibilità agli utenti di tutto il mondo; è, come si diceva all’inizio di questo capitolo, una chiave che apre molte porte. Non diversamente dalle altre tipologie di fonti scritte, il web presenta ostacoli diversi, dovuti principalmente alle conoscenze linguistiche degli utenti e si richiama in questo caso il problema della lingua inglese, che è la lingua universale anche nel web; il secondo ostacolo principale è quello dovuto alle conoscenze informatiche degli utenti. Oggi grazie a servizi di vario genere tutti sono on line: dagli enti pubblici alle istituzioni, dalla sanità all’istruzione, dalle aziende agli istituti di ricerca privati. Anche musei e biblioteche hanno potuto farsi conoscere e far conoscere il loro patrimonio proprio grazie ad internet [52] e questo è proprio quello che interessa a noi e a chi deve svolgere parte della ricerca storica.

 

Schema 17 – Schema dei principali contenuti delle biblioteche virtuali

 

Schema 18 – Schema dei principali contenuti e vantaggi offerti da dizionari ed enciclopedie online
 

 

Schema 19 – Schema delle principali caratteristiche e dei vantaggi offerti dalla digitalizzazione delle collezioni dei musei

 

Anche se per molti è sempre la prima e unica risorsa o fonte di risorse cui attingere, internet deve rimanere invece una delle tante e una delle ultime risorse cui ricorrere perché non è l’unica soluzione, non risolve più problemi di quanti ne possa rappresentare, non è la fonte della verità soprattutto perché su internet ci vanno tutti e pubblicano di tutto senza controllo e spesso scrivendo anche delle cose non vere, non dimostrabili, ecc., in italiano come in qualsiasi altra lingua. Come accade per i libri, anche le fonti internet devono essere selezionate, a maggior ragione, per evitare di cadere in siti che fanno disinformazione e non divulgazione di qualche tipo. Argomenti come Inquisizione, Templari, Streghe sono quelli cui bisogna prestare più attenzione perché fanno fiorire leggende metropolitane di ogni sorta che nulla hanno di vero e di storico. L’inquisitore non era solo un monaco con faccia cattiva, la Croce e il tizzone in mano: aveva un costume ben preciso, con la sua storia, i suoi elementi, ecc. e aveva un ruolo ben preciso; i Templari non erano solo i cavalieri vestiti di bianco con la croce rossa perché il costume templare era ben lungi dall’essere questo ed era un insieme complesso di vesti ed elementi di armatura; la strega non era solo la brutta vecchia puzzolente del villaggio con il pentolone in mano, né la bella seduttrice che non invecchia mai, né la moglie dell’orco che mangia i bambini. Le favole sono una cosa, la storia è storia. Non si confonda il fantasy con la storia. Queste figure appena citate sono tra quelle particolari più rappresentate nei cortei storici ove siano presenti figure del popolo e dell’immaginario o simbolismo medievale e rappresentarle è giusto, ma bisogna farlo con criterio, senza scendere nello scandente. Basta fare una prova: digitando solo il termine “strega medievale” in tre lingue su Google, compare di tutto, ma di realmente storico ben poco o nulla; sul termine “Templari” e “Inquisitore” sempre in tre lingue, i risultati cominciano ad essere più soddisfacenti per quanto riguarda le immagini, i contenuti testuali sono invece dei più vari. Non basta cercare su Google per trovare qualcosa perché il motore di ricerca, come qualunque altro restituisce un indice dei contenuti disponibili, classificandoli in modo automatico in base a formule statistico-matematiche che ne indichino il grado di rilevanza data una determinata chiave di ricerca. Per la ricostruzione coerente di un costume, in internet bisogna cercare in siti sicuri ed affidabili e negli schemi illustrati sopra, sono elencati i principali tipi di siti in cui cercare.

Qui di seguito per ogni tipo di risorsa digitale sono stati elencati i principali aspetti, il tipo di contenuti e modalità di ricerca nonché i potenziali usi ma anche i limiti, inoltre sono stati elencati e descritti per quanto possibile i principali progetti italiani e stranieri dedicati alla digitalizzazione delle fonti storiche.

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Le biblioteche digitali e i manoscritti digitalizzati

Consultare un manoscritto è sempre una grandissima emozione, specialmente quelli miniati perché è come toccare un grandissimo tesoro; equivale a toccare con mano un pezzo di storia dell’umanità. Sfortunatamente questi preziosissimi tesori non sono tutti concentrati in un unico luogo, ma sono sparsi sia in diverse città nel nostro Paese sia in diversi Paesi del mondo, custoditi generalmente presso le sedi dell’Archivio di Stato, ma talvolta anche da biblioteche private o pubbliche, universitarie o ecclesiastiche. Il problema principale consiste nel raggiungere fisicamente questi testi quando siano in un altro Paese o in un’altra città troppo lontana dalla propria. Si è visto in precedenza che i luoghi suddetti non sono segreti o ad accesso limitato in funzione di cariche o titoli di studio e questo non è valido solo nel nostro Paese, ma anche all’estero e gli ostacoli sono praticamente gli stessi, legati più che altro ai ristretti orari di accesso. Come consultare allora questi testi e dove cercarli, specialmente quelli all’estero? Internet sembra offrire una soluzione che elimina le distanze e il problema degli orari di accesso chiamata biblioteca digitale, ma come funziona esattamente? È sufficiente fare una ricerca in internet per entrare in una biblioteca digitale? Naturalmente no: è necessario avere dei parametri di ricerca, sapere cosa cercare, dove e soprattutto è importante avere delle conoscenze linguistiche, soprattutto se il manoscritto che stiamo cercando è straniero [53] come per es, il Libro di Kells (Book of Kells), capolavoro dell’arte insulare britannica del IX secolo. La biblioteca digitale è una grandissima innovazione, nata intorno agli anni ’80 come clone digitale della biblioteca reale e nell’arco di brevissimo tempo è diventata qualcosa di più grande, poiché offre più di un tipo di risorsa culturale oltre al libro [54]. Nel caso dei manoscritti, specialmente quelli medievali e miniati non tutti quelli reali esistenti sono stati digitalizzati per ragioni legate soprattutto allo stato di conservazione, ai costi che comporta la creazione e la gestione di un database d’immagini di manoscritti digitali e perché quando venissero da collezioni private, viene rispettato il desiderio del proprietario che avesse imposto la condizione di non divulgare immagini dell’opera e di mostrarlo, al più, come pezzo da museo.

 

Oggi grazie alle nuove tecnologie ed alla digitalizzazione è possibile sfogliare questi testi poiché i proprietari attuali hanno creato delle versioni digitali parallele nei propri siti, pubblicando talvolta interi database di dimensioni enormi e in continuo aggiornamento dove le persone possono entrare, registrarsi eventualmente, ricercare testi particolari come i manoscritti in funzione di precisi parametri quali tempo, luogo e lingua poiché una biblioteca può ospitare anche testi stranieri. La maggior parte delle biblioteche e degli archivi, sia in Italia sia all’estero ha creato e tiene costantemente aggiornata la propria versione digitale, anche se non tutti e questo per ragioni diverse, legate soprattutto a costi di gestione e regolamentazioni sul Copyright interne all’ente stesso o del Paese di appartenenza. Generalmente le immagini di opere come i manoscritti medievali sono considerate di pubblico dominio, che non significa affatto che sono gratuite e utilizzabili in qualsiasi modo. Pubblico dominio può significare soprattutto due cose: il diritto d’autore è scaduto perché è già decorso un certo tempo dalla morte dell’autore stesso o perché l’autore ha rinunciato esplicitamente alla proprietà intellettuale della propria opera o ha deciso di pubblicare l’opera stessa come di pubblico dominio, in tutto o in parte. Nel caso dei manoscritti medievali l’autore è certamente morto da tempo, ma il testo ha avuto padroni successivi ed erano questi i nuovi beneficiari dei diritti derivanti dal possesso di tali oggetti, incluse le biblioteche e gli archivi che altro non sono che gli ultimi proprietari del bene. Infatti questi nuovi proprietari specificano sempre il problema del diritto d’autore (o Copyright) nella propria sezione dedicata ai termini di utilizzo (dall’inglese “Terms of use”, dicitura ormai nota a tutti) e quando permettono il riutilizzo delle immagini di propri manoscritti, impongono sempre l’obbligo di citare la fonte e in che modo, la risoluzione massima da utilizzarsi e specificano soprattutto il divieto di fare uso commerciale delle immagini stesse quando fosse possibile divulgarle. Vi sono alcuni enti, poi, i quali vietano a prescindere il riutilizzo e permettono solo ed esclusivamente l’uso personale e in altri casi nemmeno quello. Le scelte che riguardano l’uso di qualsiasi tipo delle immagini di manoscritti o di reperti non sono legate solo alle normative sul diritto d’autore che variano da Paese a Paese, ma sono anche a discrezione degli enti stessi che possiedono certi beni. Esiste una sorta di via di mezzo tra il diritto d’autore e il pubblico dominio che meglio è conosciuta come Creative Commons, un sistema complicato di norme che lavora al fianco del Copyright e del pubblico dominio e consente di riutilizzare in modo creativo opere d’ingegno altrui nel pieno rispetto delle leggi esistenti. Non tutte le biblioteche, archivi, musei o enti simili adottano per le proprie esposizioni virtuali il Creative Commons e quindi è bene, come regola generale, guardare sempre ogni volta, in ogni sito la pagina o sezione dedicata ai termini di utilizzo perché possono variare ogni volta. Se si deve eseguire una ricerca storica personale per realizzare un costume per sé stessi, l’uso è personale, salvo non si voglia successivamente pubblicare una relazione sulla ricerca effettuata con tutte le immagini di riferimento e le fonti [55]; in quel caso l’uso non è più solo personale, ma vi è un riutilizzo del materiale e in tal caso è fondamentale leggere i termini d’uso dei proprietari delle immagini in funzione del tipo di uso che si vuole fare.

 

I manoscritti digitali sono, come detto all’inizio, contenuti in grandi database costantemente aggiornati; grazie ai software interni ai siti è possibile impostare i parametri di ricerca se si è interessati magari a manoscritti solo di un certo periodo o luogo (query) e grazie a visualizzatori digitali si possono sfogliare ed eventualmente si possono scaricare le immagini delle miniature che interessano [56]. Se si pensa che ormai sono decine di migliaia i manoscritti digitalizzati su internet, se non di più e considerando che sono ormai sempre più numerosi gli enti che offrono questo tipo di servizio diventa quasi impossibile trovare tutti gli enti e spulciare tutti i cataloghi e soprattutto tutti i manoscritti alla ricerca di qualcosa di specifico. Nascono così alcuni siti che collegano tra loro le diverse piattaforme digitali di alcune biblioteche (in genere in base a particolari temi o periodi) e consentono un più facile accesso al pubblico e ve ne sono sia di italiani sia di europei e stranieri.

 

Le biblioteche italiane che mettono a disposizione, in formato digitale, il loro patrimonio in termini di libri e manoscritti sono in genere biblioteche universitarie particolarmente importanti o di grosse dimensioni e le biblioteche nazionali [57] e tra queste si ricordano in particolare: Biblioteca della Scuola Normale Superiore di Pisa (http://biblio.sns.it/) nel cui sito si trova anche un indice dei cataloghi digitali distribuiti sul territorio nazionale [58]; la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (http://www.bncf.firenze.sbn.it/) e quella di Roma (http://www.bncrmuseilibrari.beniculturali.it/); la Biblioteca Medicea Laurenziana a Firenze (http://www.bml.firenze.sbn.it/); la Biblioteca Pinacoteca Accademia Ambrosiana di Milano (http://www.ambrosiana.eu/jsp/index.jsp), la Biblioteca Malatestiana di Rimini (http://www.comune.cesena.fc.it/malatestiana), la Biblioteca Nazionale di Napoli (http://digitale.bnnonline.it/), la Biblioteca Apostolica Vaticana con sede in Vaticano (https://www.vatlib.it/home.php). Non mancano nel nostro Paese progetti nazionali interamente dedicati alla raccolta e alla catalogazione dei manoscritti medievali e progetti regionali; si ricordano in particolare:

  • Progetto BibMan, dell’Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle Biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche – ICCU (http://bibman.iccu.sbn.it/). È un’iniziativa promossa e coordinata dall’Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche. Si propone di offrire un servizio di informazione e documentazione su tutti i manoscritti in alfabeto latino conservati in Italia.
  • L'Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche – ICCU (http://www.iccu.sbn.it/opencms/opencms/it/). L’ICCU gestisce il catalogo online delle biblioteche italiane e il servizio di prestito interbibliotecario e fornitura documenti; cura i censimenti dei manoscritti e delle edizioni italiane del XVI secolo e delle biblioteche su scala nazionale; elabora standard e linee guida per la catalogazione e la digitalizzazione. Opera in stretta collaborazione con le Regioni e le Università al servizio delle biblioteche, dei bibliotecari e dei cittadini.
  • Manus Online (http://manus.iccu.sbn.it/), è un database che comprende la descrizione e le immagini digitalizzate dei manoscritti conservati nelle biblioteche italiane pubbliche, ecclesiastiche e private. Il censimento, iniziato negli anni Ottanta a cura dell'Istituto Centrale per il Catalogo Unico, ha come obiettivo l'individuazione e la catalogazione dei manoscritti in alfabeto latino prodotti dal Medioevo all'età contemporanea, ivi compresi i carteggi.
  • Biblioteca Digitale italiana – BDI - http://www.iccu.sbn.it/opencms/...BDI/, fa parte dell’ICCU e comprende i Cataloghi storici italiani (http://cataloghistorici.bdi.sbn.it/index.php), Dà accesso alle riproduzioni digitali di circa 216 cataloghi storici, a volume e a schede, di 37 biblioteche italiane appartenenti al Ministero per i Beni e le Attività Culturali, a Enti locali e a Istituti di cultura per un totale di 6.843.454 immagini.
  • Progetto Nuova Biblioteca Manoscritta (http://www.nuovabibliotecamanoscritta.it/), progetto di catalogazione dei manoscritti conservati nelle biblioteche venete, avviato dal settembre 2003 dalla Regione del Veneto con lo scopo di pubblicarne il catalogo in linea. Tale progetto si affianca alle iniziative di catalogazione già avviate, che hanno come ambito i codici medievali, i cui cataloghi cartacei sono destinati a confluire in forma elettronica nell'unica banca dati dei manoscritti del Veneto.
  • Progetto Codex: inventario dei manoscritti medievali della Toscana (http://codex.sns.it/), è un progetto finanziato e sostenuto dalla Regione Toscana che ha la finalità di promuovere la tutela e la valorizzazione del patrimonio regionale e di contribuire alla realizzazione di un censimento sistematico della tradizione manoscritta medievale. Il progetto interessa tutte le biblioteche della regione, ad eccezione delle statali, e tutte le altre possibili sedi di conservazione.

Per quanto riguarda invece i progetti europei si ricorda in particolar modo Europeana Regia (http://www.europeanaregia.eu/en). Europeana Regia, attivo dal 2012 è un mezzo per i ricercatori e il pubblico in generale per accedere ai manoscritti rari e preziosi, attraverso piattaforme quali Gallica, Belgica, Manuscripta Mediaevalia ed Europeana [59]. Europeana Regia unisce cinque biblioteche europee: la Bayerische Staatsbibliothek, Monaco di Baviera (BSB), l'Universitat de València Biblioteca Històrica (BHUV), Herzog August Bibliothek, Wolfenbüttel (HAB) e il Koninklijke Bibliotheek van BelgiëBibliothèque royale de Belgique (KBR) consentendo l’accesso a circa 900 manoscritti rappresentativi della storia politica, culturale e artistica dell'Europa. Europeana Regia tratta essenzialmente tre insiemi di manoscritti che vanno dalle collezioni carolingie alla biblioteca di Carlo VI a quella dei Re Aragonesi di Napoli, non tratta di tutti i manoscritti europei del Medioevo [60].

 

Gallica (http://gallica.bnf.fr/?lang=EN) è la piattaforma che raccoglie i manoscritti della BnF e di altre biblioteche francesi, mentre Belgica (http://belgica.kbr.be/) riguarda i manoscritti del Belgio; Manuscripta Mediaevalia (http://www.manuscripta-mediaevalia.de/) connette tra loro biblioteche tedesche tra cui la Bayerische Staatsbibliothek (https://www.bsb-muenchen.de/index.php) e la Herzog August Bibliothek (http://www.hab.de/). Altro portale dedicato ai manoscritti è E-codices (http://www.e-codices.unifr.ch/it) che ospita i manoscritti digitalizzati di numerosissime biblioteche del centro-nord europeo, specie tedesche e in particolar modo i manoscritti dell’Abbazia di San Gallo. Ognuno di questi siti ha una propria normativa circa l’uso del materiale digitale: alcuni distribuiscono addirittura sotto licenza CC [61] mentre altri specificano sempre che per ogni manoscritto, valgono i termini d’uso della biblioteca proprietaria e che è necessario rifarsi al sito di quest’ultima (E-codices è tra quelle che usano il CC). Tra le biblioteche universitarie digitali dalla struttura simile a E-codices si ricorda quella dell’Università di Heidelberg (Universitätsbibliothek Heidelberg, http://www.ub.uni-heidelberg.de/) che rimanda talvolta anche a manoscritti della Biblioteca Apostolica Vaticana (digitale anch’essa [62], https://www.vatlib.it/home.php). In Inghilterra i principali siti dove possono trovarsi manoscritti digitalizzati sono quelli delle biblioteche universitarie (ad es. quella di Cambridge, http://www.lib.camuseiac.uk/ [63]), poi vi è la British Library (http://www.bl.uk/), la biblioteca nazionale del Regno Unito e una delle più importanti biblioteche di ricerca, con un patrimonio di più di 150 milioni di documenti e 13 milioni di nuove acquisizioni ogni anno [64]. Altre due biblioteche famose di cui esiste anche la versione digitale si ricordano la Morgan Library (http://www.themorgan.org/) che si trova però negli USA e la Bodleian Library che si trova ad Oxford in Inghilterra (http://www.bodleian.ox.ac.uk/bodley). Altri progetti di catalogazione di manoscritti medievali in Europa si ricordano: Monasteriumuseinet (http://icar-us.eu/en/cooperation/online-portals/monasterium-net) e Manuscriptorium (http://www.manuscriptoriumuseicom/en).

 

Ognuno degli enti elencati e dei progetti ha una propria politica riguardo il Copyright e quindi per ognuno bisogna controllare sempre la parte dedicata alla possibilità di utilizzare il materiale.

 

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Libri digitalizzati di cui è scaduto il diritto d'autore

È un altro dei vantaggi del web: poter sfogliare un libro anche degli ultimi due secoli e addirittura poterlo scaricare e sfogliare su pc o tablet. Gli enti che offrono questo tipo di servizio sono talvolta anche gli stessi che offrono i servizi di catalogazione, digitalizzazione e consultazione online di manoscritti medievali, ma vi sono anche altri tipi di enti o aziende che più che manoscritti si dedicano interamente ai libri moderni di cui è scaduto il diritto d’autore. Tra questi vi è Google Libri ® (https://books.google.it/),

l'interfaccia in italiano di Google Books (in precedenza conosciuto come Google Books Search e prima come Google Print), lo strumento sviluppato da Google per permettere la ricerca nel testo di libri antichi digitalizzati oppure in commercio. Nel caso in cui il volume digitalizzato non sia protetto da copyright, Google permette di consultarlo integralmente online, o di scaricarlo in formato PDF. Google Books è nato nel 2004, con il nome di Google Print, e viene presentato al pubblico la prima volta alla Buchmesse di Francoforte. Tra i primi editori che stipulano accordi commerciali con Google si trovano Blackwell, Cambridge University Press, the University of Chicago Press, Houghton Mifflin, Hyperion, McGraw-Hill, Oxford University Press, Pearson, Penguin, Perseus, Princeton University Press, Springer, Taylor & Francis, Thomson Delmar e Warner Books. A dicembre Google annuncia l'iniziativa Google Print Library Project, che prevede l'accordo con numerose biblioteche pubbliche e universitarie di alto livello per la digitalizzazione di circa 15 milioni di volumi e la loro messa a disposizione nell'interfaccia di ricerca nell'arco di un decennio. L'annuncio suscita le reazioni delle associazioni degli editori e degli autori, dato che il processo di digitalizzazione coinvolgerà anche opere coperte dal diritto d'autore. Il 10 dicembre 2012 sono cominciate le scansioni dei libri della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze e di quella di Roma, parte dell'accordo che prevede la scansione in Italia da parte di Google di almeno mezzo milione e al massimo un milione di libri nel pubblico dominio. Sul portale di Google Libri si trovano titoli anche piuttosto antichi, seppure non così tanto da arrivare al Medioevo, almeno per ora, però è possibile trovare numerosi testi, per lo più in lingua inglese, dedicati alla storia del costume datati al XIX secolo e se ne trovano anche in lingua italiana, seppure quelli stranieri come si è già detto sono più affidabili quanto a contenuti. Un altro servizio molto simile a Google Libri è Archive.org (https://archive.org/), una biblioteca digitale no profit che ha lo scopo dichiarato di consentire un "accesso universale alla conoscenza". Essa offre uno spazio digitale permanente per l'accesso a collezioni di materiale digitale che include, tra l'altro, siti web, audio, immagini in movimento (video) e libri. In aggiunta alla sua funzione primaria di archiviazione, Internet Archive è un'organizzazione attivista che si batte per una Internet libera ed aperta ed è un'associazione no profit riconosciuta ufficialmente negli Stati Uniti d'America. La più massiccia collezione digitale della biblioteca è l'archivio web, una sorta di raccolta di "fermi immagine" del World Wide Web catalogati secondo la data di acquisizione. L'archivio permette al pubblico il caricamento e lo scaricamento di materiale digitale da e verso i suoi server a costo zero. Esso inoltre permette l'accesso ad uno dei più vasti progetti di archiviazione digitale di libri esistente, è parte della American Library Association ed è ufficialmente riconosciuto dallo stato della California come biblioteca pubblica. Secondo il sito web di Internet Archive

molte società danno importanza alla preservazione di artefatti riguardanti la loro eredità culturale. Senza questi artefatti la civiltà non ha memoria e non ha modo di imparare dai propri successi e dai propri fallimenti. La nostra cultura ora produce sempre più artefatti in forma digitale. La missione di Internet Archive è di aiutare a preservare questi artefatti e creare una biblioteca digitale su Internet per ricercatori, storici e studiosi".

 

Simile ad Archive.org è la Digital Public Library of America (DPLA - http://dp.la/), altra biblioteca digitale statunitense nata nel 2010 con l'intento di unificare in un solo portale l'accesso a risorse digitalizzate da diverse istituzioni. Comprende collezioni di libri, immagini e materiale d'archivio di varia natura. Il progetto è nato nel 2010 per iniziativa di numerose biblioteche, università e fondazioni ed è stato sostenuto dal Berkman Center for Internet & Society dell'Università di Harvard e finanziato dalla Fondazione Alfred Sloan. L'avvio del portale è avvenuto il 18 aprile 2013. DPLA rappresenta il tentativo di creare una biblioteca nazionale digitale unica e su larga scala per gli Stati Uniti d'America che aggreghi e renda ricercabili le risorse digitalizzate da archivi, biblioteche e musei. Essa rende quindi accessibili materiali di diversa natura come libri, immagini, fotografie, opere d'arte e materiali d'archivio, facilitandone l'accesso sia per gli studiosi, sia per il grande pubblico, tramite interfacce di ricerca per parole chiave, per argomento, per data e per luogo geografico. Al momento del lancio, le maggiori istituzioni coinvolte risultano la Mountain West Digital Library, la National Archives and Records Administration, lo Smithsonian Institution, la Kentucky Digital Library, la Digital Library of Georgia e Internet Archive. Sono stati inoltre stretti accordi di collaborazione rispetto all'interoperabilità dei rispettivi contenuti con Europeana.

 

I libri digitali in genere sono scaricabili in vari formati. Il formato più diffuso è il pdf che però risulta di difficile lettura per i lettori inferiori ai 10” mentre i formati più diffusi sono: formato *.epub (per sistemi Android ®), il *.mobi (per prodotti Apple ® e Amazon ®, ma anche i dispositivi mobile) e il *.azw (per i Kindle) per chi ormai si è abituato a usare e leggere con questi dispositivi [65]. Per chi, invece, è ancora abituato a utilizzare il computer è sufficiente avere il programma che riconosce i vari formati per poterli leggere anche se i *.pdf rimangono il formato migliore [66]. Vi è poi un formato, non troppo conosciuto, che è il formato *.chm, meglio noto come il formato delle guide d’uso dei software: un testo creato con questo formato permette di solito la navigazione offline dei contenuti grazie all’indice [67]. Altro formato, più diffuso del *.chm, è il *.djvu che per molti aspetti è simile al pdf (eccezion fatta per le pagine di un testo non siano salvate come singole immagini, perché il testo non può essere copiato), seppure i lettori di questo formato abbiano molte meno opzioni rispetto ai più avanzati lettori di formati pdf [68].

 

Schema 20 – Schema dei principali tipi di file di libri elettronici disponibili in rete.

 

Per quanto riguarda la parte strettamente legata alla normativa, in genere i testi digitalizzati sono tutti distribuiti con licenza CC o di pubblico dominio. Siccome molte biblioteche digitali distribuiscono anche immagini, scansioni di fotografie d’epoca o altri file, non è detto che per queste ultime la licenza sia sempre la stessa e in genere, come accade nel caso dei manoscritti digitali (distribuiti come raccolte di immagini) ogni ente attua una propria politica per quanto riguarda il download, l’utilizzo e l’eventuale divulgazione dei propri contenuti perché anche se è scaduto il diritto d’autore a seguito della morte di quest’ultimo, l’ente attualmente proprietario detiene i diritti e può decidere come distribuire il materiale.

 

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Enciclopedie online

Le enciclopedie online sono utili perché possono dare molte informazioni circa terminologie tecniche o anche biografie di personaggi storici e ne esistono di vario genere: universali e tematiche. Le enciclopedie universali sono quelle concepite per dare informazioni su tutto e in Italia la più importante è certamente la Treccani (Istituto dell'Enciclopedia Italiana), oggi anche online (http://www.treccani.it/). Le enciclopedie tematiche sono invece quelle che trattano esclusivamente un certo settore, es. Enciclopedia Garzanti di astronomia e cosmologia, Enciclopedia della scienza e della tecnica, ecc. L’Enciclopedia Treccani, dell’Istituto dell'Enciclopedia Italiana non è un semplice sito, ma include in sé moltissime altre raccolte di opere come le Raccolte biografiche e le Opere tematiche di cui fanno parte Enciclopedia dantesca, Enciclopedia fridericiana (Federico II) e l’Enciclopedia costantiniana. All’estero esistono versioni molto simili alla Treccani e che per chi è interessato possono essere utili per approfondire la biografia di personaggi di origini straniere, specie durante l’Alto Medioevo. In particolare si ricorda l’Enciclopedia Britannica (Encyclopædia Britannica - http://www.britannica.com/) una delle prime importanti enciclopedie generaliste in lingua inglese ed è tuttora pubblicata. In USA si ha invece l’Encyclopedia Americana (http://teacher.scholastic.com/products/grolier/), una delle più grandi enciclopedie generali in lingua inglese. Dopo l'acquisizione di Grolier, nel 2000, l'enciclopedia è stata prodotta da Scholastic. Scritta da 6500 contributori, l'Enciclopedia Americana include più di 9000 bibliografie, 150000 riferimenti incrociati, 1000+ tabelle, 1200 mappe e circa 4500 immagini in bianco e nero e a colori. La versione online dell'Enciclopedia Americana, introdotta per la prima volta nel 1997, continua ad essere aggiornata e venduta [69]. Questa versione, così come quella cartacea dalla quale deriva, è rivolta agli studenti e agli utenti delle biblioteche pubbliche. La maggior parte delle enciclopedie in inglese tendono ad essere tematiche più che universali. In genere ogni Paese ha adottato oggi una propria enciclopedia che raccolga le conoscenze e la cultura nonché la propria storia e ne ha messa a disposizione una versione online per farle conoscere al mondo.

 

Una delle enciclopedie online che più fanno discutere, per la politica di divulgazione nonché anche i contenuti, a volte, è senz’altro Wikipedia. Essa è un’enciclopedia online a contenuto aperto, collaborativa, multilingue e gratuita, nata nel 2001, sostenuta e ospitata dalla Wikimedia Foundation, un’organizzazione non a scopo di lucro statunitense. Wikipedia fu lanciata da Jimmy Wales e Larry Sanger il 15 gennaio 2001, inizialmente nell'edizione in lingua inglese, cui si aggiunsero ben presto edizioni in numerose altre lingue. Su Wikipedia inizialmente potevano scrivere tutti anche se col tempo la creazione di voci con informazioni errate o imprecise, mancanza di fonti citate e varie violazioni dei diritti d’autore – espressamente vietate dal regolamento dello stesso sito – ha portato la comunità di Wikipedia ad esercitare un maggior controllo sui contenuti, anche se un vero e proprio controllo non è possibile, trattandosi di contenuto libero in tantissime lingue e in continua trasformazione. Per quanto riguarda strettamente il copyright, in realtà Wikipedia lavora un po’ sul confine perché i suoi contenuti sono rilasciati con la licenza CC BY-SA (Creative Commons - Condividi allo stesso modo [70]). Quando un utente contribuisce al progetto con materiale originale (proprio), i diritti d'autore rimangono in suo possesso ma egli acconsente a rilasciare la propria opera sotto la licenza libera. Il materiale di Wikipedia può quindi essere distribuito a, o incorporato da, fonti che a loro volta usino questa licenza. Sebbene tutti i testi siano disponibili sotto la stessa licenza, una percentuale significativa di immagini e suoni in Wikipedia non sono liberi: elementi come loghi aziendali, saggi, testi di canzoni o foto giornalistiche protette da copyright sono usate con una rivendicazione di fair use [71][72]. Wikipedia ha ricevuto anche del materiale a condizione che non si possano produrre lavori derivati o che possa essere usato solo all'interno di Wikipedia. Alcune edizioni comunque accettano solo contenuti multimediali liberi da copyright. Per la sua particolarità e gratuità Wikipedia rimane una delle fonti più consultate e utilizzate in tutto il mondo (anche noi la usiamo), ma proprio perché le voci sono in continuo aggiornamento e scritte da tutti, è sempre bene controllare che vi siano citate delle fonti precise, come testi con tutti i dati (titolo, autore, editore, ecc.) o link di siti verificabili e sicuri.

 

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Musei e gallerie d’arte virtuali

Ultimo tipo di risorsa virtuale cui attingere è rappresentato dalle esposizioni digitali delle collezioni di musei e gallerie d’arte. La storia del museo virtuale è per certi versi parallela a quella della biblioteca digitale. L’espressione museo virtuale è venuta assumendo nel corso degli ultimi anni una valenza sempre più sfuggente, soprattutto a causa dei notevoli mutamenti di scenario prodotti dalle continue trasformazioni tecnologiche della comunicazione e dell’informazione. Al momento della sua introduzione, nei primi anni ‘80, con museo virtuale (o digitale) si indicava la rappresentazione digitale delle collezioni di un museo fisicamente esistente. Questo tipo di realizzazione rispondeva a una duplice esigenza. Anzitutto, offriva ai curatori una soluzione eccellente sia per archiviare e consultare la documentazione sulle collezioni sia per gestire le pratiche di natura amministrativa (restauri, prestiti e così via). La prima configurazione assunta dal museo virtuale coincise con il riversamento su supporto digitale dello schedario e dell’inventario tradizionali. In questa fase, che si protrasse fino a oltre la metà degli anni ‘90, i principali musei dell’intero pianeta, soprattutto d’arte e di antichità, produssero, quasi sempre con la collaborazione di editori privati, CD-ROM che consentivano la visita virtuale delle loro collezioni. Le tecnologie digitali e, soprattutto, la modellizzazione tridimensionale consentivano di restituire fedelmente strutture architettoniche la cui fruizione risultava ardua a causa delle rilevanti dimensioni o per ragioni di conservazione (come le volte affrescate, le grandi tombe dell’antichità con importanti cicli pittorici, o ambienti ed edifici monumentali di struttura costruttiva complessa) [73]. La stessa cosa fu applicata nel campo della tecnica, della scienza e in particolare della medicina. Il principale limite di questo sistema di divulgare le collezioni dei musei, già citato nella parte generale dedicata ad internet quale risorsa per la ricerca storica, è rappresentato dalla mancanza del contatto tra l’utente e la materialità dell’oggetto, problema che cominciò a sollevarsi a partire dagli anni ’90 e che ancora oggi persiste se non addirittura è peggiorato, poiché grazie ad internet ed alla diffusione in rete dei gemelli virtuali dei musei sparsi in tutto il mondo, la distanza tra l’utente e il bene storico è ancora maggiore. La digitalizzazione dei musei ha portato poi ad una progressiva perdita di capacità di dialogo tra i curatori dei musei e delle collezioni ed il pubblico: in un museo reale la ‘voce’ narrante della guida che spiega e interagisce non potrà mai essere sostituita dalla descrizione posta in didascalia, descrizione per altro non sempre dettagliata come ci si aspetta e l’utente non può interagire per avere maggiori spiegazioni o maggiori informazioni, da ricercarsi diversamente. Il contenuto della didascalia di ogni reperto anche nei musei reali varia da caso a caso, specie nelle pinacoteche dove per ogni dipinto sono date informazioni essenziali così come nelle descrizioni delle sale affrescate di castelli e palazzi. La scarsità di informazioni non è solo un problema di quantità, ma anche di qualità [74]. In realtà ogni oggetto è correlato ad una vasta serie di altri oggetti che nel loro insieme costituivano la quotidianità e la tradizione storica di un popolo che è anche il nostro. L’avvento di internet ha in parte ricreato questo insieme perché per ogni oggetto visualizzato vengono mostrati altri oggetti correlati: ad esempio in una galleria di collane antiche, possono essere mostrati anche altri tipi di gioielli poiché non ne veniva indossato solo un tipo alla volta, ma più di uno e di fatture diverse. Inoltre grazie ad internet è possibile creare aree tematiche dove viene interamente ricreato un ambiente di una certa epoca, fermo restando che è virtuale e quindi volatile e non reale, dunque né concreto né perdurevole. Fortunatamente la virtualizzazione dei musei nel mondo non ha portato ad un calo dell’affluenza di visitatori poiché vi è sempre da parte del pubblico l’interesse specifico di vedere quell’oggetto dal vivo. D’altro canto, se si deve cercare un particolare tessuto di una certa epoca, un particolare costume, un accessorio, un gioiello o altro tipo di oggetti di vita quotidiana da riprodurre per utilizzarli nel contesto di una rievocazione, è ovvio che se quello che si cerca non lo si trova in un museo facilmente raggiungibile per fotografarlo e lo si trova, invece, grazie alla navigazione in internet nel database di un museo estero con allegate, eventualmente, informazioni specifiche, non ha senso non sfruttare questo potente strumento. I musei digitali, ben inteso, non sono solo una raccolta di immagini di reperti inseriti in un database dove gli utenti, grazie alle query, cioè l’impostazione dei parametri di ricerca, estraggono informazioni. I musei digitali, ben inteso, non sono solo una raccolta di immagini di reperti inseriti in un database dove gli utenti, grazie alle query, cioè l’impostazione dei parametri di ricerca, estraggono informazioni. I musei digitali ospitano anche files diversi dall’immagine: contengono video e tracce audio, documentari realizzati per determinati temi, i progetti realizzati e le pubblicazioni o i cataloghi delle mostre che, dopo un certo periodo, essendo fuori stampa vengono divulgati in formato scaricabile, in genere .pdf. Queste pubblicazioni sono preziose risorse scritte che posso guidare il ricercatore a caccia di informazioni su un certo tipo di reperto. Come nel caso dei manoscritti e dei libri, anche per i musei digitali può presentarsi il problema della lingua per quanto riguarda quelli stranieri [75], fonti utili perché non diversamente dai manoscritti anche per i reperti archeologici vale il discorso del ‘passaggio di mano’: un tessuto prodotto in Italia nel XV secolo potrebbe essere sopravvissuto in frammenti ospitati oggi presso una collezione in Inghilterra o negli USA. Poiché la storia dei musei digitali è parallela a quella delle biblioteche e degli archivi digitali, anche qui l’avvento di internet ha portato gli enti conservatori dei beni storici a dover attuare delle politiche specifiche per quanto riguarda il Copyright, ossia proteggere la proprietà intellettuale delle proprie ricerche e studi sui beni mostrati al pubblico di cui sono proprietari. In questo caso come per le biblioteche, ogni ente attua una politica propria, relativa anche alle norme sul copyright del proprio Paese, circa soprattutto il potenziale riutilizzo e divulgazione delle immagini ospitate presso il proprio sito. In linea generale, per quanto riguarda il copyright, se si usano immagini tratte da un database di un museo digitale è bene informarsi sempre sull’utilizzo e sulla possibile divulgazione, specie a fini didattici perché non sempre è possibile. Alla pari delle biblioteche e degli archivi anche per i musei vale la regola che non tutti hanno una propria versione parallela sul proprio sito e molti ancora non ne hanno affatto uno (in genere sono quelli piccoli, privati magari e quelli montani, fatte le dovute eccezioni); quindi diventa obbligatorio recarsi fisicamente in loco, per vedere i reperti qualora si venga a conoscenza di particolari collezioni custodite.

 

I tipi di reperti che possono interessare la ricerca storica di chi deve realizzare un costume filologicamente coerente o di ricostruire un costume storico da presentare in una rievocazione, quale che sia l’epoca sono i tessuti, gli accessori e gli oggetti di uso quotidiano dell’epoca che interessa, in riferimento a una determinata zona e a una determinata cultura. Per quanto riguarda il Medioevo, nello specifico, i reperti più facilmente reperibili per quanto riguarda usi e costumi sono i frammenti tessili più numerosi per i secoli del Basso Medioevo che non per l’Alto mentre i capi di vestiario interi e in perfetto stato di conservazione sono rari; ancora sempre nel settore tessile si ritrovano e sempre in riferimento al Basso Medioevo gli arazzi. Più diffusi sono i reperti quali gioielli in oro, argento e con pietre preziose o oggetti in ceramica, vetro e metallo, specialmente armi ed armature. I musei, non va dimenticato, possono anche ospitare manoscritti o pergamene o frammenti degli stessi o anche dipinti, ritratti e tavole pittoriche, anche quando il museo non è una galleria o una pinacoteca. I dipinti e le tavole pittoriche così come i frammenti colonne o capitelli decorativi presi da chiese o cripte sono discussi separatamente, in quanto sono fonti storiche artistiche.

 

Schema 21 – Schema dei principali tipi di oggetti esposti nelle collezioni dei musei e delle gallerie d’arte. Lo schema indica i principali tipi di oggetti utili nella ricerca di fonti utili per la realizzazione o ricostruzione di costumi storici, filologicamente coerenti. Come indicato nei primi schemi grafici, vi sono reperti che appartengono a più di un tipo come i manoscritti miniati che sono sia fonti storiche sia fonti artistiche.

 

Per quanto riguarda invece i principali musei nel mondo, specie quelli digitali, l’elenco è veramente lunghissimo: in genere seguono i diversi ordinamenti amministrativi e pertinenze (nazionali, regionali, civici.); si distinguono generalmente sotto il profilo tipologico, a seconda dell’area di interesse: musei d’arte e di archeologia, di architettura, di archeologia industriale; musei etnografici e antropologici, musei storici, musei di scienza e di tecnica; musei specializzati su temi specifici come i musei militari, navali; musei delle ceramiche, dei gessi, ecc. [76]. A livello nazionale i principali musei che possono ospitare reperti come quelli che interessano la ricerca storica sul costume sono quelli senz’altro dedicati al tessuto ed al costume anche se non hanno nel loro sito la struttura di database con collezioni digitali come molti musei esteri. Il più famoso museo tessile in Italia è il Museo del tessuto di Prato (http://www.museodeltessuto.it/ ). Si tratta di uno dei più importanti a livello nazionale ed europeo sulla storia e lo sviluppo della tessitura dall'antichità ai giorni nostri. L'arte della lavorazione tessile è documentata dall'era paleocristiana fino ai nostri giorni nelle varie tecniche di esecuzione, per un totale di circa seimila reperti. Completano il patrimonio del museo un fondo librario, una collezione di figurini di moda dell'800, macchinari, campionari di chimica tintoria e strumenti di preparazione alla tessitura di varia epoca [77].

In un'altra parte del complesso è previsto che venga ospitata la biblioteca comunale e i servizi connessi. Altro museo italiano interessante da visitare è il Museo del tessile e del costume di Spoleto Il patrimonio tessile in esso custodito consente di ripercorrere l'evoluzione del costume dal XIV al XX secolo e di osservare da vicino le diverse tecniche decorative della storia della moda. I manufatti provengono da tutte le regioni italiane e da numerosi paesi esteri quali: Stati Uniti, Francia, Inghilterra, Austria, Paesi Balcani, Isole dell'Egeo, Turchia, Persia, Cina e Russia. Periodicamente al suo interno vengono organizzati percorsi tematici e laboratori didattici rivolti alle scuole del territorio. Altro museo ancora è il Museo dell'arte della lana nel Casentino e il Museo della tappezzeria (http://www.museotappezzeria.it/) di Bologna. Ancora si ricorda il Museo della storia del tessuto e del costume di Palazzo Mocenigo a Venezia (http://mocenigo.visitmuve.it/) che in realtà è una delle tante esposizioni contenute nel palazzo e ospita reperti tessili a partire almeno dal XIV secolo oltre a dei costumi di età moderna fino al Barocco ed al Settecento. Sul costume in particolare il Museo del costume farnesiano (http://www.comune.gradoli.vt.it/index.php?T1=18) a Viterbo che ospita costumi storici a partire dal XV secolo ed è situato all’interno di Palazzo Farnese. In altri casi come nel Palazzo dei Musei di Modena si trovano delle sale dedicate al tessile, al costume come la Collezione Gandini. All’estero i musei dedicati al tessile e in particolare al costume sono molto più numerosi e non mancano nelle loro collezioni splendidi reperti o esemplari di fattura italiana. È bene sottolineare che questi musei non ospitano solo reperti storici di epoca medievale, ma di tutte le epoche e alcuni sono per altro monotematici, dedicati in Europa soprattutto al costume tradizionale di un luogo o al particolare tessuto prodotto in quel luogo. In altri casi questi musei sono dedicati espressamente al ricamo, al merletto o agli accessori di moda di un certo periodo, in genere non il Medioevo purtroppo. Si ricorda in particolar modo il Musée de la mode et du textile all’interno del Musée Les Arts Décoratifs in Francia (http://www.lesartsdecoratifs.fr/) nel cui sito è possibile esplorare parte delle collezioni; il Centre National du Costume de Scene (http://www.cncs.fr/the-CNCS/discover-the-CNCS/mission) che è interamente dedicato al costume storico cinematografico ed ospita al suo intero le collezioni di costumi realizzati per importanti film storici e inoltre ospita anche costumi originali del periodo Rococò. In Inghilterra, invece, si ricordano in particolar modo: il Victoria e Albert Museum (www.vam.ac.uk) a Londra e il British Museum (http://www.britishmuseum.org/). Sempre in Inghilterra si ricorda il Museo del costume e della moda (Fashion Museum, Bath) situato nel Somerset e che ospita costumi soprattutto femminili e infantili a partire dal XVI secolo (http://www.fashionmuseum.co.uk/).

Il Victoria e Albert Museum è il più importante museo a livello mondiale dedicato alle arti applicate e alle arti minori, ma non mancano sezioni dedicate alla pittura (soprattutto il disegno), alla scultura e all'architettura. Il museo ospita al suo interno collezioni di frammenti tessili e costumi d’epoca a partire rispettivamente dall’antichità per i primi e dal XVII secolo per i secondi. In Germania si ricordano in particolar modo il Museo delle Arti e Mestieri di Berlino/ Kunstgewerbemuseum (http://www.smb.museum/en/home.html) che presenta numerosissimi oggetti anche dell’epoca medievale. In Austria, presso Vienna si trova invece il Kunsthistorisches Museum (in italiano Museo della Storia dell'Arte - http://www.khm.at/en/), è uno dei principali musei di Vienna ed uno dei più antichi e ricchi al mondo [78]. Il museo contiene soprattutto opere artistiche pittoriche ed armature della collezione originale degli Asburgo più altre collezioni quali quella egizia orientale, la collezione delle antichità romane e greche, quella della scultura e delle arti decorative, il gabinetto numismatico e la biblioteca. Il Kunsthistorisches Museum è famoso, però, per custodire importanti pezzi del Tesoro Imperiale datati a partire dal Sacro Romano Impero di Carlo Magno (la Corona Ferra) e le vesti regali dell’investitura dei Re di Sicilia, in particolare il celebre Mantello dell’Incoronazione, la Tunicella blu e la Tunica alba di Guglielmo di Sicilia datati al XII secolo. Sempre nei Paesi tedeschi, altro importante museo dedicato ai tesori dell’Impero è il Museo Diocesano di Bamberga che custodisce i preziosissimi mantelli di Enrico II il Santo (Sternenmantel o Mantello delle stelle) e dell’Imperatrice sua consorte Santa Cunegonda. In Ungheria infine, presso il Museo nazionale ungherese (http://mnm.hu/en) si trovano invece i principali oggetti del Tesoro Reale dei Re d’Ungheria oltre ad altri numerosi reperti datati a partire dall’Alto Medioevo, incluso il Mantello dell’Incoronazione di Santo Stefano. Altro museo che ospita numerosissimi reperti tessili del passato dalla preistoria all’età moderna di ogni nazione , epoca e cultura, oltre ad una ricchissima serie di costumi originali a partire dal XVII secolo è il Metropolitan Museum of Art di New York, noto anche come MetMuseum (http://www.metmuseum.org/).

 

Tra i musei che possono interessare la ricerca storica per quanto riguarda usi e costumi del Medioevo, in particolare quelli che possiedono oggetti di vita quotidiana e che possono essere riprodotti nell’ambito di una rievocazione storica, sono sempre i musei nazionali che hanno sede provinciale e ospitano in genere reperti archeologici che ripercorrono la storia della zona o della regione dalla preistoria sino all’età moderna, ma nelle grandi città si trovano già i musei o le gallerie monotematici. Importanti per gli oggetti di uso quotidiano sono oltre ai suddetti musei etnologici, quelli archeologici perché espongono anche frammenti di edifici decorati, parti di chiese antiche o addirittura affreschi strappati [79] da rovine riportate alle luce.

Nel caso del Medioevo particolarmente importanti sono i musei dedicati solo a questo periodo storico. In Italia i musei dedicati interamente al Medioevo sono il Museo Civico Medievale di Bologna (http://www.museibologna.it/luoghi/62013/id/76458); il Museo del medioevo goriziano (http://www3.comune.gorizia.it/turismo/it/museo-del-medioevo-goriziano) e infine il Museo Nazionale dell'Alto Medioevo di Roma (http://archeoroma.beniculturali.it/musei/museo-nazionale-dell-alto-medioevo). Il Museo fu inaugurato nel 1967 per dotare Roma di un museo archeologico dedicato all'Alto Medioevo a partire dall'età postclassica e, soprattutto, promuovere la ricerca di un periodo molto importante della storia della città. Espone materiali che vanno dal IV al IX secolo provenienti soprattutto dalla zona di Roma e dall'Italia centrale, e consta di 8 sale. Il Museo, già parte della Soprintendenza Speciale per i Beni archeologici di Roma, dal 2014 è passato in consegna al Polo Museale del Lazio. Musei dedicati quasi esclusivamente al Medioevo sono presenti anche all’estero, anche se in questi casi si tratta di sale tematiche allestite all’interno di edifici come castelli o palazzi.

 

I musei appena citati, specialmente quelli più famosi a livello internazionale, non custodiscono solo reperti tessili o esemplari originali di costumi del passato, ma anche, come si è detto, collezioni tematiche dedicate a varie epoche e culture del passato con i relativi oggetti di uso quotidiano, armi e oggetti religiosi. Al tempo stesso questi contengono, specie i più grandi, anche pinacoteche o gallerie d’arte con dipinti, raccolte di manoscritti e si riconferma così la molteplicità delle funzioni e dei contenuti del museo, fisico o digitale, inteso non più solo come luogo di conservazione di collezioni di oggetti antichi, ma come luogo dove i principali temi della cultura e della storia umana s’incontrano e s’imparano a conoscere.

 

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Fonti bibliografiche

Libri

  • AA.VV. Musei dell'artigianato: oltre 300 collezioni in Italia. Touring Editore, 2003.
  • Barbero, Alessandro. Carlo Magno. Un padre d'Europa. Laterza, 2002.
  • Benton, Janetta Rebold. Materials, Methods, and Masterpieces of Medieval Art. Greenwood Publishing Group - ABC-CLIO, LLC, 2009.
  • Enciclopedia, Treccani. Museo - Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2007). A cura di Alessandra Mottola Molfino. s.d. http://www.treccani.it/enciclopedia/museo_res-81d75601-9bc2-11e2-9d1b-00271042e8d9_%28Enciclopedia-Italiana%29/.
  • Kohler, Carl. A history of costume. II. New York: G. Howard Watt, 1930.
  • Kren, Thomas, Elizabeth C. Teviotdale, e Adam S. Cohen and Kurtis Barstow. Capolavori del J. Paul Getty Museum: Manoscritti miniati. Los Angeles: The J. Paul Getty Museum , 1997.
  • Láng, Benedek. Unlocked books: manuscripts of learned magic in the medieval libraries of Central Europe. Pennsylvania State University Press, 2008.
  • Levi Pizetsky, Rosita. Il costume e la moda nella società italiana. Milano: Einaudi ed., 1978.
  • Muzzarelli, Maria Giuseppina. Gli inganni delle apparenze. Disciplina di vesti e ornamenti alla fine del Medioevo. Torino: Paravia & C. S.p.A., 1996.
  • —. Guardaroba medievale. Vesti e società dal XIII al XVI secolo. Bologna: Il Mulino, 1999.
  • Muzzarelli, Maria Giuseppina. «Ma cosa avevano in testa? Copricapi femminili proibiti e consentiti fra Medioevo ed età moderna.» (Reti Medievali) 2006.
  • Norbert, Wolf. Capolavori della miniatura. I codici miniati più belli del mondo dal 400 al 1600. Taschen, 2007.
  • Norris, Herbert. Costume & fashion. The evolution of European dress through the earlier ages. 2 vol. London and Toronto: J. M. Dent & Sons LTD., 1931.
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  • —. Biblioteca virtuale - XXI Secolo (2009). A cura di Marco Veneziani. s.d. http://www.treccani.it/enciclopedia/biblioteca-virtuale_%28XXI-Secolo%29/.
  • —. Biblioteche digitali: la grande sfida a Google. Il Libro dell'Anno 2013 (2013). A cura di Gino Roncaglia. s.d. http://www.treccani.it/enciclopedia/biblioteche-digitali-la-grande-sfida-a-google_%28altro%29/.
  • —. Copyright nell'era digitale - Lessico del XXI Secolo (2012). A cura di AA.VV. s.d. http://www.treccani.it/enciclopedia/copyright-nell-era-digitale_%28Lessico-del-XXI-Secolo%29/.
  • —. Europeana. Lessico del XXI Secolo (2012). s.d. http://www.treccani.it/enciclopedia/europeana_%28Lessico-del-XXI-Secolo%29/.
  • —. Fonti storiche. Tipologie e problemi di utilizzazione e conservazione. Dizionario di Storia (2010). A cura di Marilena Maniaci. s.d. http://www.treccani.it/enciclopedia/fonti-storiche-tipologie-e-problemi-di-utilizzazione-e-conservazione_%28Dizionario-di-Storia%29/.
  • —. Internet archive - Lessico del XXI Secolo (2012). s.d. http://www.treccani.it/enciclopedia/internet-archive_%28Lessico-del-XXI-Secolo%29/.
  • —. La conservazione e il restauro dei manufatti archeologici. Il Mondo dell'Archeologia (2002). A cura di Rossella Colombi, et al. s.d. http://www.treccani.it/enciclopedia/la-conservazione-e-il-restauro-dei-manufatti-archeologici_%28Il-Mondo-dell'Archeologia%29/.
  • —. Le fonti per la ricerca archeologica. A cura di aa.vv. s.d. http://www.treccani.it/enciclopedia/le-fonti-per-la-ricerca-archeologica_%28Il-Mondo-dell'Archeologia%29/.
  • —. Multimedialità. A cura di Marcello Morelli. s.d. http://www.treccani.it/enciclopedia/multimedialita_%28Enciclopedia-Italiana%29/.
  • —. Musealizzazione virtuale - Lessico del XXI Secolo (2013). s.d. http://www.treccani.it/enciclopedia/musealizzazione-virtuale_%28Lessico-del-XXI-Secolo%29/.
  • —. Museo - Enciclopedia dei ragazzi (2006). A cura di Loredana Finicelli. s.d. http://www.treccani.it/enciclopedia/museo_%28Enciclopedia-dei-ragazzi%29/.
  • —. Museo - Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2007). A cura di Alessandra Mottola Molfino. s.d. http://www.treccani.it/enciclopedia/museo_res-81d75601-9bc2-11e2-9d1b-00271042e8d9_%28Enciclopedia-Italiana%29/.
  • —. Museo virtuale - XXI secolo. A cura di Paolo Galluzzi. 2010. http://www.treccani.it/enciclopedia/museo-virtuale_%28XXI-Secolo%29/.
  • —. Obsolescenza digitale - Lessico del XXI Secolo (2013). s.d. http://www.treccani.it/enciclopedia/obsolescenza-digitale_%28Lessico-del-XXI-Secolo%29/.
  • —. Progettazione digitale - XXI Secolo (2010). A cura di Marco Gaiani. s.d. http://www.treccani.it/enciclopedia/progettazione-digitale_%28XXI-Secolo%29/.
  • —. Restauro e conservazione. Le tecniche diagnostiche. A cura di AA.VV. s.d. http://www.treccani.it/enciclopedia/restauro-e-conservazione-le-tecniche-diagnostiche_%28Il-Mondo-dell'Archeologia%29/.
  • —. Ricerca archeologica. I metodi di datazione. A cura di AA.VV. s.d. http://www.treccani.it/enciclopedia/ricerca-archeologica-i-metodi-di-datazione_%28Il-Mondo-dell'Archeologia%29/.
  • Van Beveren, Jacques Joseph, e Charles Dupressoir. Costume de Moyen Age d'après les manuscrits. Bruxelles: Libraire Historique Artistique, 1847.

Siti internet

 

Manoscritti

  • Grandes Chroniques de France. Esemplare del 1375 ca. Bibliothèque nationale de France, Département des Manuscrits, Français 2813 (Rif. http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b84472995/)
  • Evangeliario di Lorsch – Noto anche come Codex Aureus di Lorsch, il manoscritto fa parte di una serie di testi appartenuti in epoca medievale al Monastero di Lorsch dove risulta registrato dal 830 fino al XV secolo. Quando la biblioteca del monastero divenne proprietà del principe Ottheinrich del Palatinato nel XVI secolo fu accorpata a quella preesistente di Heidelberg Dopo che ne divenne proprietario nel XVII secolo il principe Massimiliano di Baviera il manoscritto fu diviso in due tre parti, una rimase a Roma ed è oggi conservata presso la Biblioteca Apostolica Vaticana mentre l’altra dopo alcuni passaggi giunse alla Biblioteca Naţională a României “Alba Iulia” dove si trova tutt’ora. Il pannello frontale in avorio, la cui immagine è stata riportata anche in questo articolo, invece è ospitato presso Victoria and Albert Museum e consultabile all’indirizzo: http://collections.vamuseiac.uk/item/O113554/front-cover-of-the-lorsch-gospel-cover-unknown/. La parte con i Vangeli di Marco e Matteo dell’Evangeliario è il frammento ospitato in Romania presso la Biblioteca Nazionale della Romania (Biblioteca Naţională a României) di Bucarest e consultabile all’indirizzo: http://bibliotheca-laureshamensis-digital.de/view/bnr msrII1, il portale della Biblioteca dell'Università di Heidelberg. dove è anche possibile consultare tutto il manoscritto, compresa la seconda parte con i Vangeli di Luca e Giovanni di proprietà dello Stato del Vaticano. L’intero volume digitale, diviso nelle due parti, è consultabile online presso il sito della Biblioteca dell'Università di Heidelberg all’indirizzo: http://bibliotheca-laureshamensis-digital.de/view/lorscher evangeliar. I termini di utilizzo dei tre frammenti dipendono dai custodi attuali: solo il pannello e la prima parte dei Vangeli, quelli custoditi presso la Biblioteca Nazionale della Romania sono riproducibili solo ed esclusivamente per fini divulgativi, culturali non commerciali. Per quanto riguarda la Biblioteca Nazionale della Romania le immagini sono disponibili ai sensi del regolamento del Creative Common con licenza BY-NC-SA.
  • Psalterium Caroli Calvi (IX secolo). Bibliothèque nationale de France, Département des Manuscrits, Latin 1152 (Rif. http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b55001423q)
  • Codex aureus von St. Emmeram - Bayerische Staatsbibliothek in München (Clm 14000. Rif: http://daten.digitale-sammlungen.de/~db/0005/bsb00057171/images/). Sul sito della BSB è possibile consultare anche i principali e famosi manoscritti tedeschi altomedievali e non solo, specie quelli del tesoro carolingio. I manoscritti sono disponibili all’indirizzo: http://pracht-auf-pergament.digitale-sammlungen.de/index.html?c=index&l=de.
  • Vita Mathildis (Acta Comitissae Mathildis) di Donizone di Canossa – Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat.lat.4922 (Rif. http://digi.vatlib.it/view/MSS Vat.lat.4922/0101). Le immagini di questo manoscritto sono protette da copyright e pertanto non è stato possibile riprodurle.

 

Altre fonti

Ringraziamenti

Un sentito ringraziamento è per il Prof Alessandro Barbero, docente di Storia Medievale presso Università degli Studi del Piemonte Orientale, per la sua gentilissima disponibilità, le informazioni, i preziosissimi consigli, le indicazioni sulla ricerca storiografica e la possibilità di consultare manoscritti presso gli archivi storici.

 

Note

[1] La contraddittorietà non è necessariamente una cosa negativa anche se, mettere insieme più fonti diverse ed eventualmente opposte quanto a contenuti, genera sempre una grande confusione, ma se non altro permette agli studiosi, specie nei punti più lacunosi, di fare ipotesi quantomeno obiettive sullo svolgimento dei fatti.

[2] (Treccani, Fonti storiche. Tipologie e problemi di utilizzazione e conservazione. Dizionario di Storia (2010) s.d.)

[3] Sfortunatamente la fonte orale non è affidabile e la comunità scientifica è molto scettica al riguardo, poiché la tradizione orale è troppo soggetta alle deformazioni dovute alle diverse interpretazioni, personali o collettive e inoltre le tradizioni orali spesso sono correlate alle diverse ideologie proprie di un’epoca. Anche una volta trasposte alla forma scritta, la fonte orale non è meno immune da deformazioni e quindi non completamente affidabile. Fa parte di questa categoria l’agiografia di cui a loro volta fanno parte gli elementi dell’immaginario medievale, rappresentati raramente nei cortei storici.

[4] Il complesso dei motivi e criteri che distinguono e inquadrano l'immagine dal punto di vista culturale. Spesso viene anche usato il termine ‘iconico’, che ha significato diverso. Vengono definite fonti iconiche tutte le fonti storiche relative all'immagine o fondate sull'immagine.

[5] Che si svolse od operò nello stesso tempo. [Dal lat. tardo coaevus, der. di aevum 'età, spazio di tempo', col pref. co-1].

[6] Di quanto può essere oggetto di commercio, il valore corrente di mercato.

[7] (Treccani, Fonti storiche. Tipologie e problemi di utilizzazione e conservazione. Dizionario di Storia (2010) s.d.)

[8] L’obiettivo delle riproduzioni non è solo quello di impedire il furto dell’originale, specie oro o beni di valore inestimabile anche perché si tratta di beni sempre profumatamente assicurati; ma è anche quello di consentire un più facile accesso al pubblico senza compromettere il deterioramento dell’originale essendo la riproduzione realizzata con gli stessi materiali e quindi sono dei ‘falsi-originali’ che mantengono il loro interesse storico, anche per gli studiosi. Altro fine delle riproduzioni è quello di consentire la presenza di un determinato bene in più luoghi durante occasioni particolari, a tema. Va precisato però che anche le riproduzioni hanno un loro costo e molto spesso, anche per questo, si creano e si diffondono le versioni digitali, quindi le fotografie con ricche descrizioni, di certi reperti non più esposti al pubblico, come accade ai tessuti storici o ai frammenti tessili.

[9] In tal caso per bene non si intende solo il reperto archeologico, ma anche l’edificio storico, un luogo dove è accaduto un fatto storico, ecc.

[10] In una rievocazione del Trecento, ad esempio, che si svolge in una città famosa dove è anche più facile reperire le fonti storiche locali, non ha senso andare di libera fantasia aiutandocisi soltanto con testi di storia del costume o disegni presi giù da internet perché si potrebbero commettere anche molti gravi errori, mentre un minimo di ricerca storica permetterebbe di individuare i modelli più in uso, i colori e le decorazioni in uso nel periodo di ambientazione, se non proprio nel luogo perché i modelli in uso in un luogo erano in uso anche in un altro, quello che poteva cambiare perché soggetto alle leggi suntuarie (regolamentazione del lusso) era l’uso del colore o la lunghezza o scollatura di un certo abito e il materiale, ma non ci sono pervenute leggi suntuarie di ogni luogo o epoca.

[11] La scrittura è stata tra le prime forme di testimonianza, al fine di tramandare la memoria di qualcosa, sin dalla remota antichità e si presume che le prime forme di scrittura risalgano al IV millennio a.C.

[12] Erano le leggi che regolamentavano il lusso e inevitabilmente influenzavano anche il commercio. Il loro uso è antichissimo, seppure in epoca medievale si osserva una loro emanazione anche a livello locale nelle principali città o sotto potenti signorie.

[13] Da questo tipo di fonti, come per esempio i testamenti e gli inventari realizzati in fase di successione, è possibile ricavare informazioni sugli abiti utilizzati nel quotidiano ma non solo, i complementi d’abbigliamento e gli accessori mentre ad esempio dalle leggi suntuarie è possibile conoscere i limiti del lusso di un certo modo di vestire per una certa classe sociale.

[14] Questo avveniva quando ad esempio un foglio di pergamena veniva raschiato per cancellare il contenuto e scriverci sopra nuovamente, non esistevano le gomme come oggi e quindi un foglio dal contenuto ritenuto non importante poteva essere pulito per scriverci nuovamente sopra.

[15] Le guerre fin dall’antichità sono state occasione per i partiti in causa, per sottrarre o distruggere beni di ogni genere al nemico. In genere ad essere rubati erano oggetti di valore come oro o gioielli, magari tessuti preziosi ma non certo libri che invece divennero oggetto di furto, insieme ai beni elencati prima e ai dipinti, durante le guerre dell’epoca moderna fino al secondo conflitto mondiale. Nel caso dei manoscritti, fatto salvo alcuni esemplari particolarmente rari (di cui esistono magari solo pochissime copie originali), essi sono stati più facilmente oggetto di scambi e donazioni che nemmeno di furti; il testo “Capolavori della miniatura. I codici miniati più belli del mondo dal 400 al 1600” di Norbert Wolf, ed. TASCHEN cita per ogni manoscritto presentato la lista dei precedenti proprietari e nella maggior parte dei casi il passaggio è stato tra privati o tra privati e biblioteche, talvolta per mezzo di donazioni o acquisti e talvolta non tutti i passaggi sono noti perché non essendo stati registrati non ne esiste documentazione.

[16] In genere si tratta di biblioteche provinciali e comunali o diocesane, in altri casi i manoscritti possono essere anche ospitati presso archivi di Stato. Naturalmente la possibilità di digitalizzare manoscritti o documenti è in genere un privilegio che si possono permettere solo biblioteche o archivi particolarmente grandi e importanti, non quelli di paesini che per qualche ragione ancora conservano archivi con documenti storici e questo perché tante volte cambiano anche le leggi che regolamento la conservazione e la custodia di questo tipo di beni. In ogni caso non esiste alcun obbligo, da parte degli attuali custodi di questi tipi di beni, di effettuare la digitalizzazione delle stesse opere e in questi casi oltre ad essere necessario comunque spostarsi fisicamente per visionare i documenti, è bene sempre prima informarsi sulla reale disponibilità di un certo tipo di manoscritto e sulla possibilità di accesso allo stesso e in merito a questo vi sono alcune notizie interessanti che saranno trattate nella parte finale dedicata alle fonti scritte.

[17] Vedere nota precedente

[18] Lo stesso discorso vale anche per i documenti diversi dai manoscritti, anche se in questo caso la loro digitalizzazione è rara e riguarda quasi esclusivamente documenti emanati dalle più alte autorità di una certa epoca. Questo è in parte dovuto anche al fatto che nei confronti di documenti ufficiali o carte simili vi è meno interesse da parte del pubblico, rispetto ai manoscritti miniati che provocano sempre nell’osservatore un fascino unico.

[19] Spesso in rievocazioni relative alla cosiddetta Epoca Matildica, da Matilde di Canossa, si vedono costumi e tessuti che sono riferibili alla moda di almeno due secoli dopo. Questo problema non riflette tanto una mancanza di investimenti, durissimi in tempi di crisi economica, ma riflette spesso esigenze sceniche del tutto inutili poiché lo spettatore finisce per farsi di un’epoca e del costume dell’epoca un’idea del tutto errata. D’altro canto della stessa epoca non esiste che un manoscritto miniato con immagini non sempre nitide e che non rappresenta la moda matildica ma la moda del XI e XII secolo, in parte derivata da quella carolingia e in parte da quella longobarda poiché la stessa Matilde era il frutto dell’unione di due diverse culture: quella tedesca (che derivava direttamente da quella carolingia) e quella longobarda. In miniature come quella del Vita Mathildis (Vat.lat.4922, Biblioteca Apostolica Vaticana) è facile riconoscere i caratteri del costume carolingio e in parte anche le influenze del costume bizantino, ma non è possibile certamente dedurre da questo che i soli colori in uso fossero il rosso, l’azzurro, il verde così come non è possibile stabilire che fossero di velluto quando ancora il velluto non esisteva, eppure in rievocazioni di questa epoca si insiste molto su questo lussuoso tessuto, insieme a broccati o damaschi che certamente fanno colpo sul pubblico, ma non sono per nulla fedeli alla realtà storica.

[20] Psalterium Caroli Calvi (IX secolo). Bibliothèque nationale de France, Département des Manuscrits, Latin 1152 - http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b55001423q/f12.itemuseir=Charles%20le%20Chauve

[21] Altri esempi sono illustrati nella parte specifica dedicata ai manoscritti miniati e alle informazioni da essi ottenibili.

[22] Sacramentarium [Sacramentaire de Charles le Chauve (?), frg.]. Bibliothèque nationale de France, Département des Manuscrits, Latin 1141 - http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b53019391x/f14.item

[23] http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglitData/image/bnr msrII1/1/037.jpg

[24] Grandes Chroniques de France, Bibliothèque nationale de France, Département des Manuscrits, Français 2813, folio 480v - http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b84472995/f972.itemuseir=Les%20grandes%20Chroniques%20de%20France

[25] Grandes Chroniques de France, Bibliothèque nationale de France, Département des Manuscrits, Français 2813, folio 446v - http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b84472995/f904.itemuseir=Les%20grandes%20Chroniques%20de%20France

[26] Grandes Chroniques de France, Bibliothèque nationale de France, Département des Manuscrits, Français 2813, folio 394r - http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b84472995/f797.itemuseir=Les%20grandes%20Chroniques%20de%20France

[27] Un Archivio di Stato dell'Italia è un archivio le cui competenze consistono nella conservazione e sorveglianza del patrimonio archivistico e documentario di proprietà dello stato e nella sua accessibilità alla pubblica e gratuita consultazione. Gli Archivi di Stato sono articolazioni delle Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici (DRBCP), organi territoriali del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Dal punto di vista tecnico-scientifico dipendono dalla Direzione Generale per gli Archivi del MiBAC. In ogni capoluogo di provincia italiana è presente un Archivio di Stato; essi sono archivi di concentrazione.

[28] Essi non appartengono allo Stato ma alla Chiesa e hanno una giurisdizione diversa rispetto a quelli di Stato, oltre ad essere la giurisdizione stessa piuttosto antica. È vero però che con i Patti Lateranensi sono state apportate delle piccole rettifiche di recente aggiornamento che riguardano soprattutto gli archivi di interesse storico. In ultimo si può dire in generale che la legislazione degli archivi ecclesiastici è quella degli archivi privati, seppure la Chiesa riconosca alcuni dei suoi archivi (diocesani) come pubblici. Conviene però sempre informarsi presso ogni archivio cui ci si vuole rivolgere per evitare errori.

[29] Somministrazione ai volontari partecipanti del questionario sulla Rievocazione ed il costume: “Rievocazioni e cortei storici...qual'è lo status quo?”. Dati aggiornati ad agosto 2015.

[30] Riferimento alla risposta del Prof. Alessandro Barbero.

[31] Le stesse regole valgono anche nei musei che ospitano reperti o dipinti di una certa epoca esposti al pubblico, fatto salvo quei casi dove non sia espressamente vietato anche fare foto personali; ciò avviene per lo più in luoghi di proprietà privata seppure aperti al pubblico, rispetto ai luoghi di proprietà dello Stato.

[32] Il termine ospite è da intendere nel senso di colui che accoglie, ospita. Il termine ha due significati: quello di soggetto che viene accolto da un secondo soggetto; ma anche quello di soggetto che esercita l’azione di invitare, accogliere (forma attiva).

[33] Uno dei principali problemi dell’ambiente rievocativo nazionale è proprio dovuto alla mancanza di coerenza temporale dei costumi non solo degli abitanti di un luogo, ma anche dei gruppi ospiti. Queste mescolanze per quanto coreograficamente belle, di storico non hanno nulla. Di recente, molti partecipanti al questionario "Rievocazioni e cortei storici...qual'è lo status quo?” hanno lamentato la crescente presenza di gruppi fantasy in rievocazioni storiche, che con la storia e la tradizione non centrano niente, ma che per ragioni di contenimento di costi e necessità coreografiche volte a catturare il pubblico vengono chiamati più volentieri dei gruppi storici veri e propri.

[34] Porta Santa Croce di Parma

[35] Non è detto che queste liste si trovino anche in tutti i manuali dedicati alla realizzazione di costumi storici.

[36] Per Treccani Rosita Levi Pizetsky realizzò nel secolo scorso uno studio approfondito del costume storico in Italia dall’Antichità all’età moderna che consiste di una piccola raccolta enciclopedica con volumi piuttosto grossi, dove sono contenute informazioni dettagliate sulla storia del costume nel nostro Paese, con note di riferimento a piè di pagina con citate fonti, immagini, ecc.; tavole illustrate e riproduzioni d’immagini tratte da testi manoscritti, pitture, reperti ecc., ma manca completamente degli schemi di taglio.

[37] Gli storici del passato non seguivano i metodi di ricerca utilizzati oggi, oltre a non avere determinate tecnologie, e quando avevano davanti faldoni di scritti di ogni genere, non li leggevano tutti e scartavano lo scartabile quando possibile; paradossalmente quando i documenti erano scarsi compensavano i vuoti inventando di sana pianta. Si tratta di un problema oggi ‘denunciato’ da molti studiosi e storici che si ritrovano a dover analizzare di nuovo, da zero, non solo i documenti originali di una data epoca ma anche le ricerche degli storici del passato alla ricerca di errori che potrebbero generarne altri. In questo modo è stato possibile risolvere questioni poco chiare o confuse.

[38] Si è detto inizialmente che bisogna prendere in considerazione tutti i tipi di fonte, anche se contradditorie tra di loro, ma si è anche detto che queste una volta raccolte vanno analizzate perché proprio dal confronto emergono gli errori, i paradossi, le contraddizioni. In buona parte questo lavoro è stato svolto e viene svolto continuamente dagli storici, come si diceva nella nota precedente e come ha detto anche il Prof. Barbero, ma per quanto riguarda la ricostruzione di situazioni, vite di personaggi, storie e costumi il lavoro deve essere svolto da chi vuole presentare quella situazione, quel personaggio, quella storia e quei costumi. Bisogna quindi lavorare con il lavoro degli storici, perché la stessa situazione e gli stessi fatti, quando magari coinvolgono personaggi e le loro vite, possono essere stati interpretati e presentati in modi differenti.

[39] Per i testi più antichi è sempre bene usare prudenza per evitare di cadere in errore.

[40] Rare sono le fotografie, in bianco e nero, di reperti o sculture o decorazioni scultoree di monumenti di epoca antica e medievale o di epoche successive.

[41] Spesso i testi più antichi sono stati rivisitati, eventualmente corretti nella struttura e ripubblicati, venduti ancora oggi

[42] L’Italia medievale non è l’Italia unita che conosciamo noi oggi, era enormemente frammentata e si tendeva a seguire in ogni zona la moda dei dominatori, non quella degli stilisti. Non esisteva il concetto di costume nazionale né si può dire che esistesse la moda italiana come la intendiamo oggi. Questo è uno dei miti sul costume storico in Italia che si deve sfatare. Le prime differenze tra il modo di vestire nelle varie zone del nostro Paese rispetto a Paesi come Francia e Inghilterra cominciano a vedersi in età comunale e in modo più evidente a partire dal Trecento, ma un’attenta analisi delle fonti ha permesso di capire che sostanzialmente a cambiare di città in città erano i nomi volgari degli elementi di vestiario per i modelli più comuni. Alcuni sostengono che certi modelli in Italia così come certe acconciature non esistessero, ma ancora una volta le fonti iconografiche dimostrano il contrario. Insomma, in Italia la moda non era troppo diversa dagli altri Paesi, anche se c’erano varianti di un modello base più di moda in una zona piuttosto che un’altra e la stessa cosa accadeva anche all’estero.

[43] In altri casi lo schema è leggermente diverso perché fa riferimento ad un cartamodello da riprodurre in scala, specie nei manuali più recenti.

[44] La produzione di testi di storia del costume e manuali affini in lingua inglese è maggiore che quella scritta in altre lingue anche per ragioni commerciali: poiché l’inglese è una lingua conosciuta e usata in tutto il mondo, un libro scritto in una lingua ‘universale’ tutti lo leggono, lo capiscono e lo possono usare e quindi comprare. Ovviamente un testo scritto nella propria lingua è sempre più comodo e pratico da leggere e usare, si lavora meglio, ma qui diventa una scelta commerciale delle case editrici dei vari Paesi nel mondo che stabiliscono se far tradurre un testo e poi venderlo conviene o meno che lasciarlo in lingua originale e venderlo come tale.

[45] Un altro comportamento da seguire, per semplificare la successiva fase, quella di analisi delle fonti trovate, consiste anche nel dividere le fonti per lingua, in modo da mantenere anche un certo ordine nella ricerca storica che si sta realizzando.

[46] In base al questionario “Rievocazioni e cortei storici...qual'è lo status quo?” solo il 2,7% del personale attivo nella organizzazione delle rievocazioni si occupa esclusivamente dei costumi e nell’11% dei casi realizza i costumi storici a livello domestico. Dati aggiornati ad agosto 2015.

[47] Nella maggior parte dei casi la produzione di costumi nelle rievocazioni, specie più piccole, è ferma da molti anni e la lavorazione si basa quasi sempre esclusivamente su riparazioni, ove possibile.

[48] La realizzazione dei costumi avviene generalmente a livello domestico da parte di una persona o un gruppo piccolissimo, per tutti i figuranti e si tratta per altro di informazione assolutamente generica. Questi singoli o gruppi inoltre non lavorano anno per anno, ma per un po’ di anni e poi si fermano, raggiunto il numero di costumi necessari, smettono e questo è un errore comunissimo e fatale per molte manifestazioni storiche.

[49] Sono numerose le lamentele circa la carenza di bibliografia italiana sul costume storico medievale.

[50] È un metodo di insegnamento usato da alcune madrelingua e per molti, anche a chi l’inglese magari piace, è un metodo difficile da seguire e noioso perché poco comprensibile.

[51] L’inglese inoltre non sempre era insegnato come prima lingua straniera nelle scuole fino a qualche decennio fa e veniva insegnato il francese, poi a quest’ultimo è toccato il secondo posto. L’inglese non è una lingua né facile ma nemmeno difficile e come tutte ha una sua grammatica, con delle regole, delle forme e sfumature che sono poi quelle che permettono di dialogare, esprimere idee e concetti. Già dalla metà degli anni ’90 viene insegnata nella scuola primaria seppure alle elementari viene data una sorta di infarinatura, il vero e proprio insegnamento comincia con la scuola secondaria di primo e secondo grado. La scuola oggi cerca di dare una formazione linguistica in modo tale che gli studenti risultino ‘pre-intermediate’, ossia il livello chiesto sia all’università (dove è quasi obbligatorio saperlo) sia nei CV per i colloqui di lavoro. In passato questo non accadeva: non c’era la diffusione delle informazioni come oggi, non c’erano i mezzi tecnologici di oggi e non c’era internet a semplificare le cose; le lingue straniere erano insegnate per fini esclusivamente tecnici come lettere commerciali o documenti ed erano insegnate con metodi veramente poco comprensibili.

[52] Si è detto in precedenza che però non tutti questi soggetti possono permettersi oggi la possibilità di mettere in formato digitale i propri beni ed esposizioni come se un utente li vedesse dal vivo e questo per mancanza in genere di fondi e finanziamenti necessari anche ad ampliamenti e manutenzione degli stessi siti e server. È bene però precisare che un’esposizione virtuale, anche quando fatta molto bene, non regala mai la stessa emozione come se fosse vista dal vivo.

[53] La maggior parte delle biblioteche digitali dispone anche dell’opzione della lingua inglese per chi non conoscesse altre lingue.

[54] (Treccani, Museo virtuale - XXI secolo 2010)

[55] Si tratta dei casi simili a quello del nostro sito: quando presentiamo la documentazione di un costume storico riprodotto o realizzato ex novo, utilizziamo anche immagini di manoscritti e utilizziamo sempre quelle di enti proprietari che consentono il riutilizzo per fini divulgativi culturali, non commerciali. Se si volesse invece realizzare un’opera, un manuale con esempi di costumi e di fonti per destinarlo alla vendita, l’uso non è più solo divulgativo, ma commerciale e qui si tocca vivamente il diritto d’autore, quindi diventa obbligatorio per gli autori delle opere pagare i diritti al proprietario e ogni ente ha un proprio tariffario.

[56] In genere i siti che ospitano manoscritti digitali offrono anche la possibilità di mostrare la ‘galleria’ delle anteprime delle singole pagine, in modo che così l’utente, se cerca solo le miniature, individua più facilmente le pagine che ne contengono.

[57] Una biblioteca nazionale è una biblioteca creata specificamente dal governo di una nazione per servire da deposito preminente delle informazioni di questa nazione. A differenza delle biblioteche pubbliche, queste permettono raramente ai cittadini di prendere libri in prestito. Le biblioteche nazionali sono di solito notevoli per le loro dimensioni, se raffrontate a quelle delle altre biblioteche dello stesso paese. Alcuni stati, pur non indipendenti, ma che vogliono preservare la propria particolare cultura, hanno costituito una biblioteca nazionale, con tutte le caratteristiche di questa istituzione, come il deposito legale.

[58] Visitare il link: http://biblio.sns.it/risorseonline/libroantico/catdig/

[59] È una biblioteca digitale europea che riunisce contributi già digitalizzati da diverse istituzioni dei 28 paesi membri dell'Unione europea in 30 lingue. La sua dotazione include libri, film, dipinti, giornali, archivi sonori, mappe, manoscritti ed archivi.

[60] Per approfondire il progetto Europeana Regia visitare: http://vivereilmedioevo.blogspot.it/2014/04/europeana-regia.html

[61] In questi casi si tratta di convenzioni adottate tra le biblioteche e gli enti aderenti al progetto del sito in oggetto

[62] La Biblioteca Apostolica Vaticana non consente il libero uso delle proprie immagini senza previo consenso, quando si tratti di pubblicarle in qualsiasi forma.

[63] La biblioteca digitale si trova qui: http://cudl.lib.cam.ac.uk/

[64] La biblioteca, che si trova a Londra, include copie della maggior parte dei libri della Biblioteca del Congresso (ma non altri media o manoscritti) e una collezione di beni storici internazionali che risalgono fino al 300 a.C.

[65] Questi leggono anche altri formati, ma ogni marca ha i suoi di formati leggibili.

[66] Per vedere una lista dei possibili e numerosi formati dei file scaricabili da internet, testuali soprattutto visitare la pagina: https://archive.org/help/derivatives.php.

[67] Tale formato non ha bisogno generalmente di lettori specifici installati, perché è un formato già riconosciuto dal sistema, per gli OS Windows fino alle ultime versioni, mentre nei prodotti con sistemi MacOS è necessario un lettore del formato.

[68] Per info su questo formato visitare il link: https://it.wikipedia.org/wiki/DjVu. Il formato *.djvu viene letto dall’omonimo lettore open source, che spesso è anche solo portable, ma esiste ora anche la versione installabile, in lingua inglese.

[69] La maggior parte degli articoli sono firmati.

[70] Una delle molte licenze di copyright di tipo permissivo (copyleft), in quanto permette la redistribuzione, la creazione di opere derivate e l'uso commerciale del contenuto a condizione che si mantenga l'attribuzione agli autori e che il contenuto rimanga disponibile sotto la stessa licenza.

[71] È una disposizione legislativa dell'ordinamento giuridico degli Stati Uniti d'America, in base al quale si stabilisce, sotto alcune condizioni, la liceità della citazione non autorizzata, o l'incorporazione non autorizzata, di materiale protetto da copyright nell'opera di un altro autore. Istituti simili sono tuttavia previsti anche da altre legislazioni statali a livello mondiale. La dottrina del fair use è per tradizione considerata una esclusiva della legislazione degli Stati Uniti. In altre legislazioni di tradizione anglosassone è in vigore un principio simile: il fair dealing, più orientato agli usi didattici. Secondo tale tradizione, nelle legislazioni dell'Europa continentale il fair use non trovava applicazione. Tuttavia, anche su pressione statunitense, molti concetti del copyright anglosassone col tempo sono stati recepiti nel diritto dei singoli stati europei (la durata, ad esempio, si è innalzata dai 50 anni dalla morte dell'autore a 70 anni). Allo stesso modo, i precetti del fair use hanno cominciato a farsi strada sia nella normativa dell'Unione europea, sia in quella dei singoli paesi. In Italia, l'unica norma assimilabile al fair use è l'articolo 70 della legge 633 del 1941, ma di essa la giurisprudenza dà un'interpretazione restrittiva.

[72] In alcuni Paesi il concetto di fair use non è presente nel corpo legislativo, e quindi opere che contenessero questi elementi potrebbero essere inammissibili.

[73] (Treccani, Museo virtuale - XXI secolo 2010)

[74] Vi sono dei musei dove, anche nella versione parallela su internet, per ogni specifico oggetto vi è una descrizione anche dettagliata, la cui lettura spetta alla discrezione del visitatore, mentre in altri casi per ogni reperto le informazioni sono decisamente scarse con nome, materia prima di cui è fatto e datazione. La qualità delle informazioni più che la quantità è anche questa e non tutti i musei si preoccupano di informare il visitatore del reale valore dell’oggetto che sta guardando, puntando piuttosto a mostrare i ‘pezzi più belli’ che sono quelli ammirati più per il loro aspetto estetico che per il loro valore storico.

[75] Quasi tutti questi siti presentano sempre la possibilità di visionare il sito in lingua inglese.

[76] Fonte Treccani: http://www.treccani.it/enciclopedia/museo (Enciclopedia-Italiana 2007)/

[77] Attualmente il Museo del Tessuto è gestito da una fondazione costituita da comune di Prato, provincia di Prato, Unione Industriale, Cariprato, Camera di Commercio Industria Agricoltura e Artigianato.

[78] Il Museo venne inaugurato ufficialmente il 17 ottobre 1891 alla presenza dell'imperatore Francesco Giuseppe I d'Asburgo dopo oltre trent'anni dalla prima commissione. Dal 22 ottobre venne aperto al pubblico. L'edificio si affaccia sulla Maria-Theresien-Platz, specularmente al Naturhistorisches Museum (Museo storico-naturalistico). I due musei vennero commissionati dall'imperatore nel 1858 per contenere l'immensa collezione di opere d'arte degli Asburgo e di rendere il loro patrimonio accessibile a tutti.

[79] Metodo per separare gli affreschi dal muro per trasferirli su appositi telai: dopo aver protetto con tele la superficie pittorica e addossato a questa un piano resistente che ne impedisca la caduta in avanti, si infilano tra il muro e l’intonaco lunghe lame, con le quali si procede alla separazione dell’intonaco dal muro; quando l’intonaco non aderisce più in alcun punto al muro, si pone orizzontalmente il piano appoggiato all’affresco. Si procede quindi all’assottigliamento e al livellamento dell’intonaco, a tergo, e quindi all’applicazione del telaio; dopo il trasferimento sul telaio l’affresco è liberato dalle tele di protezione e restaurato.

1 commento:

  1. Qui è possibile trovare una mappa mondiale di tutte le biblioteche che nel proprio sito ospitano una biblioteca di manoscritti e altri testi digitalizzati:

    http://digitizedmedievalmanuscripts.org/app/

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